:: WEB 2.0, COMUNICAZIONE E MARKETING: IL FENOMENO DELLE GURESSE DEL MAKE-UP IN YOUTUBE E NEI SOCIAL NETWORK

Di Arianna Bernardini –

Non sono esperte di comunicazione e di pratiche innovative di web marketing, eppure sanno sfruttare al meglio le potenzialità del Web 2.0 e i suoi canali più adeguati (proprio perché non tutti sono adatti a un preciso scopo) per apparire, esprimere capacità e creatività, riferire opinioni, persuadere.

E sono in grado come quasi nessun altro, facendo concorrenza ai VIP ingaggiati come testimonial a suon di lauti cachet, di influenzare e anche suggestionare gli acquisti di ragazze e donne in fatto di prodotti per il maquillage, cura del viso e del corpo, nailart.

Sono le guresse del make-up (o tutorialist di make-up) che popolano YouTube, e spopolano su YouTube, con i loro video tutorial (video per la realizzazione passo a passo di determinate tecniche di trucco, per l’applicazione ottimale di prodotti per la bellezza, per la preparazione di prodotti fai-da-te), video haul (video relativi all’acquisto di prodotti non ancora provati sulla propria pelle e quindi non sottoponibili a recensione), video review (video con recensioni di prodotti testati), video giveaway (video con cessione di premi, nella fattispecie prodotti per il make-up e la cura di viso e corpo, oltre ad accessori di bellezza) con o senza contest (‘concorso’, ‘gara’; nei video, le tutorialist propongono ai fan del loro canale YouTube di indovinare qualcosa o di creare un certo trucco, il cui clip va postato in risposta al contest: chi dà le risposte corrette o chi esegue il migliore make-up viene premiata con la ricompensa in palio. Quando non viene indetto un contest vero e proprio, di norma è sufficiente postare un commento testuale in risposta al video del giveaway e, al termine della data di scadenza fissata, si procede all’estrazione del vincitore mediante il generatore online di numeri casuali Random.org), video tag (ciascun utente realizza un filmato sulla base di una tematica ben precisa. Un esempio di video tag di successo, che gira online instancabilmente da anni, è “What’s in my pursue/bag”, in italiano “Cosa c’è nella mia borsa?”. Facoltativamente, si possono anche taggare alcuni amici, che con molta probabilità parteciperanno anch’essi al video tag postando il loro video, dando così il via a un meccanismo simile a quello meglio conosciuto come catena di Sant’Antonio).

Video in cui visi metà truccati e metà acqua e sapone si trasformano in volti perfettamente imbellettati, in cui il dorso delle mani è impiegato come una tavolozza per mostrare gli swatch dei prodotti (in parole povere, la tradizionale prova colore di un prodotto di make-up prima di essere adoperato sul viso o sul corpo), in cui si passano in rassegna raccolte di pennelli professionali e si insegna a quale tipo di prodotto devono essere abbinati per la stesura, in cui si discute di INCI (“International Nomenclature of Cosmetic Ingredients”, in italiano “Nomenclatura Internazionale degli Ingredienti Cosmetici”, ossia l’etichetta dei prodotti cosmetici), in cui si chiede quali siano i segreti per la perfetta applicazione di una tipologia di prodotto (es. fondotinta con spugnetta, beauty blender, pennello per fondo o pennello kabuki per i fondotinta minerali, eye-liner liquido o in gel o cake eye-liner, illuminante tra occhi e parte superiore degli zigomi, ecc.), in cui si invita una guressa a creare il trucco ispirato a fotografie di VIP per poi poterlo replicare sul proprio viso e così via.

Poiché le guresse del make-up hanno giustamente intuito che YouTube non è il solo canale del web dove creare relazioni one-to-one e one-to-many con altri utenti, è stato un processo spontaneo dare origine a siti personali o siti dedicati al maquillage, blog, forum, pagine personali e fan page in Facebook, account Twitter e MySpace, che avessero come argomento dominante make-up e cura di viso e corpo. Spazi online in cui le guresse, come anche in YouTube del resto, possono approfondire anche altri aspetti della loro vita privata (non è raro che, in un video, una guressa mostri dei fotogrammi in cui si intravede il marito, il figlioletto, il gatto di casa. E questo aiuta a tenere viva la curiosità dei fan) e in cui gli affezionati possono partecipare con commenti di approvazione o disapprovazione (es. “Anche io amo molto l’ombretto X”, “Purtroppo il blush Y a me fa venire antiestetici brufoletti sottopelle”, “Tu e tuo marito formate davvero una bella coppia”, “Tuo figlio è bellissimo”, “Voi donne state sempre a pensare a truccarvi” – commento palesemente maschile), richieste (es. “Dove posso trovare il fondotinta X?”, “Quanto hai pagato il rossetto Y?”, “Dove hai preso quel bellissimo fiore che porti tra i capelli?”, “Come faccio a…”), curiosità addirittura un po’ eccessive (“Sei rientrata dal viaggio in Italia? Cosa ti ha preparato per cena tuo marito?”, “Il gatto si è ripreso dalla bronchite?”) che talvolta arrivano a generare aspetti tragicomici (dimostrazione di quanto detto finora emerge dai video “Le mie 5 domande preferite”, “Le mie nuove domande preferite” e “Un anno di YouTube” dell’esuberante make-up artist Giuliana, alias Makeupdelight2009 in YouTube).

Il fenomeno non è soltanto contenuto nel web, dove si già compie nella sua completezza, ma esce dai confini di schermo, tastiera, webcam e ADSL per spostarsi nelle strade dove ci si dà appuntamento per i raduni, nei bar dove si consuma qualcosa per rilassarsi e chiacchierare dopo l’esperienza collettiva di shopping nei negozi monomarca o multimarca e nei reparti profumeria dei grandi magazzini. Le relazioni tra utenti si trasformano e divengono relazioni vere, reali, non mediate dal computer (es. intervista del TG1 e intervista del TG2 a ClioMakeUp, Makeupdelight2009 alla M∙A∙C di Catania, incontro a Milano tra appassionate di make-up).

Naturalmente il fenomeno guresse e smodate fan del make-up non è solo italiano, bensì mondiale.

Tra le autorità straniere del settore occorre menzionare per prima la giovane e trasformista make-up artist americana di origine vietnamita Michelle Phan, la quale ha saputo già guadagnarsi una pagina in Wikipedia poiché il suo canale spicca sempre tra quelli con più iscritti (a oggi sono oltre 805.000, potendo vantare più di 30 milioni di visualizzazioni canale e più di 190 milioni di visualizzazioni totali caricamenti). Michelle Phan ha creato un’azienda cosmetica (IQQU Beauty International) e recentemente è divenuta portavoce e tutorialist di Lancôme. Michelle Phan online: sito personale, Facebook, Twitter, MySpace.

Seguono la statunitense juicystar07, appassionata di bellezza (non è una make-up artist) e moda; l’inglese panacea81, la classica “ragazza della porta accanto” dalla pronuncia britannica tipica del Regno Unito nord-orientale e che ha al suo attivo due pubblicazioni editoriali come unica autrice (“Lauren Luke” e “Lauren Luke Looks: 25 Celebrity and Everyday Makeup Tutorials”) e una linea cosmetica che porta il suo nome (Lauren Luke’s Official Cosmetics); l’inglese, ma dalle evidenti origini asiatiche, bubzbeauty, che per certi versi ricorda (o imita?) Michelle Phan. Seguono AllThatGlitters21; kandeejohnson; fafinettex3; MakeupGeekTV; julieg713; MakeupByTiffanyD; pursebuzz; DulceCandy87; MissChievous.

Anche alcune guresse italiane si distinguono, sempre per numero di iscritti, visualizzazioni canale e visualizzazioni totali caricamenti del canale YouTube.

ClioMakeUp (Clio Zammatteo) è una make-up artist bellunese a Brooklyn, autrice del libro “Clio Makeup” edito da Rizzoli e recentemente tutorialist-testimonial di PUPA, azienda che ha pensato bene di attuare un’azzeccata manovra di marketing richiedendo la collaborazione della guressa italiana del make-up più famosa. Clio è stata anche ospite di alcune trasmissioni televisive. Clio online: sito personale, forum, Facebook, Flickr.

Makeupdelight2009 (Giuliana Arcarese), anch’essa make-up artist italiana che vive negli Stati Uniti, gestisce anche un canale sul make-up in lingua inglese (GiulianaMUA) e talvolta appare su importanti riviste femminili (es. ELLE) che si interessano alla sua attività di guressa. Giuliana online: Facebook, forum, Twitter.

Altre ragazze molto seguite, sebbene non professioniste del make-up, sono MisStrawberryFields, chienkiri, LaCindina, KissAndMakeup01, AlicelikeAudrey, bluebeam310, carletta22.

Le guresse del make-up non sono solo fonte di ispirazione per trucchi per ogni occasione del giorno e della sera. Sono altresì modelli da imitare da parte di migliaia di ragazze e donne le quali con il make-up talvolta non se la cavano neppure tanto bene (darkstarwithoutsky è tra gli esempi più eclatanti in quanto ad approssimazione e imprecisione, basti vedere il video “Trucco verde”, così come sono inevitabili le parodie, come “Karina ti fa carina!”) ma che sono ottime recensitrici di prodotti, come del resto lo è ognuno di noi quando formula un giudizio personale rispetto a un articolo comprato e utilizzato.

Guresse e semplici ‘addicted’ del make-up in YouTube, così come le recensitrici occasionali su portali come Ciao.it, Yahoo! Answers e similari, si possono a pieno diritto identificare con la figura del prosumer (‘consumer’, ‘consumatore’ e ‘producer’, produttore’, sottinteso di argomentazioni informative). Contemporaneamente ricoprono sia il ruolo di opinion maker, perché sviluppano e diffondono il proprio parere all’interno di un gruppo di interesse, sia quello di opinion leader tramite il potere di convincimento dei loro giudizi sui prodotti, come se i video mettessero in atto una specie di passaparola tra utenti secondo cui un prodotto sarebbe valido o meno. Inoltre tutte le guresse e le appassionate di trucco più accreditate, proprio in virtù della preminenza riconosciuta dai fan, sono opinion leader nel senso più pieno della locuzione, perché, da una parte, le lezioni online suggeriscono le tendenze del make-up al pubblico di fan che ispirano mescolando sapientemente tecniche, colori e texture, dall’altra, con i video review, orientano gli acquisti di prodotti per il make-up, per corpo e viso e di accessori per la bellezza come beauty-case e valigie/trolley per il make-up, contenitori e cassettiere in cui stipare i trucchi (uno degli oggetti attualmente più desiderati è la cassettiera MALM di IKEA).

Prosumer, opinion maker ed eventualmente opinion leader sono ruoli che gli utenti del Web 2.0 impersonificano grazie a social network, blog, forum, tutti quegli spazi in cui è possibile condividere informazioni online insomma, emettendo messaggi inediti e non convenzionali e che raggiungono un’ampia audience, spontaneamente segmentata in target, assai interessata a un preciso ventaglio di contenuti e, com’è il caso del mondo della cosmesi, di prodotti.

Oltre a ciò, guresse e patite del make-up esplicano altresì attività connesse alla brand image perché, a seguito delle campagne pubblicitarie delle case cosmetiche per promuovere nuove collezioni per il maquillage e linee per la cura di viso e corpo, in qualità di consumatrici esprimono l’idea che si fanno di un prodotto.

Tante aziende cosmetiche invitano le guresse a fare recensioni di prodotti, che inviano loro gratuitamente, e a servirsene nei tutorial. In tutta risposta, solitamente le guresse dichiarano di volere manifestare l’opinione più sincera, anche se negativa, perché affermare che un prodotto è valido (es. ha lunga durata una volta applicato, ha una buona tenuta, è estremamente pigmentato e scrivente, il sistema di erogazione è ottimale, ecc.) quando ciò non corrisponde a verità danneggerebbe la reputazione e la credibilità, con conseguente, potenziale perdita di iscritti al canale YouTube.

Non potremo mai sapere se una guressa ha ceduto o cederà a eventuali lusinghe pecuniarie da parte dei committenti. Sta di fatto che alcune case cosmetiche cedono di fronte a tali condizioni ma altre no, perché il giudizio di una consumatrice di eccezione (e i pareri di più consumatrici in risposta al video review) sono assai preziosi per migliorare i prodotti. Sono aziende che hanno compreso l’importanza della valorizzazione dell’attività dei prosumer per offrire al target ciò che desidera, andare incontro alle aspettative e soddisfare i bisogni in ottica outside-in (o pull, per “capire il mercato” secondo una prospettiva proattiva anziché push e “spingere sul mercato”) del consumatore, sempre più informato e consapevole grazie al flusso di informazioni mediante il web.

È pur vero che online le cosiddette ‘bufale’ si diffondono con una certa facilità.
È di questi giorni l’articolo “Leggende metropolitane sui cosmetici: ecco come nascono in rete” in Corriere.it. Alcune tra le più celebri leggende metropolitane sono prese in esame da Il Disinformatico di Paolo Attivissimo, come per esempio “Antibufala: allarme per il piombo nei rossetti”, ma esistono strumenti che accrescono la cognizione dei consumatori più attenti. Tra questi CosIng (Cosmetic Ingredients & Substances; database stabilito dalla Commissione Europea con informazioni sugli ingredienti contenuti nei prodotti cosmetici); Skin Deep (guida ai cosmetici e ai prodotti per l’igiene personale redatta dai ricercatori dell’Environmental Working Group. Il database contiene tutte le sostanze impiegate dalla cosmesi e, a ciascuna sostanza, è attribuito un punteggio variabile sulla base del grado di sicurezza per l’organismo); FDA Cosmetics (“Food and Drug Administration”, “Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali”, ente governativo statunitense del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti che si dedica alla regolamentazione dei prodotti per tutelare la salute dei cittadini americani); “Sostanze non ammesse o limitate” del Ministero della Salute italiano, con elenchi, pubblicati in allegato alla Legge 713/86, resi disponibili nella versione costantemente aggiornata e corredata di note esplicative (peccato che l’ultimo aggiornamento risalga però al giugno 2008); Biodizionario (portale moderato dal chimico industriale e consulente Ecolabel Fabrizio Zago e rivolto al consumo consapevole dei prodotti cosmetici, con stime dell’affidabilità delle singole sostanze adottate dalle aziende cosmetiche. Il sito è particolarmente utile a chi desidera curare viso e corpo con prodotti eco-bio e desidera evitare siliconi, derivati del petrolio o determinati composti chimici a cui si è allergici) e siti a questo analoghi, come Sai cosa ti spalmi?, i forum Promiseland (sezione BioDizionario: Cosmetici e prodotti biodegradabili, moderato da Zago di Biodizionario) e L’angolo di Lola.

Parecchie case cosmetiche stanno beneficiando del fenomeno a cui guresse e appassionate del make-up e dei prodotti per la cura del viso e del corpo, tanto premium brand quanto economy brand, hanno dato vita. Tra queste M∙A∙C, Make Up For Ever, Benefit, Illamasqua, Urban Decay, bareMinerals, Dior, Chanel, Shiseido, Yves Saint Laurent, Lancôme, Elizabeth Arden, Estée Lauder, Clinique, Helena Rubinstein, Guerlain, Revlon, L’Oréal, Smashbox, NYX, O∙P∙I, Essence, Sephora, Too Faced, wet N wild, Maybelline, Rimmel, e.l.f., Zoeva, Yves Rocher, Dr. Brandt, Avène, Lush, I Coloniali, Vichy, Olaz, Nivea, Garnier e altre.

Non mancano aziende italiane come KIKO, PUPA, TruccoMinerale, Collistar, Deborah, Madina, Bottega Verde, L’Erbolario, Aquolina, Fitocose.

Con conseguenti vantaggi per le case cosmetiche che praticano e-commerce e vendono i prodotti direttamente dal sito corporate; distributori multimarca in franchising come Sephora, Limoni, Douglas, La Gardenia; distributori monomarca come KIKO e Lush; le profumerie, i supermercati, le farmacie, le parafarmacie e persino i venditori eBay italiani e stranieri.

Per quanto riguarda l’Italia, alcune marche non sono distribuite nel nostro Paese, pertanto si scatena la corsa all’acquisto mediante i siti web delle aziende di cosmesi (laddove ovviamente queste abbiano il sistema di e-commerce attivo e prevedano la spedizione in Italia); si chiede a parenti e amici che hanno programmato un viaggio in un Paese dove una determinata marca è diffusa sul mercato di comprare i prodotti, fornendo loro la classica “lista della spesa”; si fanno ricerche su eBay per trovare venditori che mercanteggino i prodotti tanto agognati.

Talvolta le stesse guresse, le aspiranti guresse e le utenti senza tale velleità sono vere e proprie shopaholic, maniache degli acquisti colpite dalla sindrome da acquisto compulsivo (o shopping compulsivo). Una consumopatia che ha derivazioni indotte sia dalla società  contemporanea sia dai media e i new media. Ovunque le aziende diffondono l’atteggiamento consumistico e la tendenza a incentivare il comportamento d’acquisto, favorendo falsi bisogni che trasfigurano il possesso del prodotto in fonte di felicità personale e di costruzione dell’identità sociale. Inoltre, attraverso il compulsive buying, la psiche di alcuni soggetti li fa illudere di avere necessità – più o meno cosciente – di costruire dall’esterno l’identità personale mediante la proprietà di oggetti specifici con presunte qualità positive e vincenti. I prodotti per la bellezza possiedono le qualità appena descritte, oltre ad avere connotazioni simboliche che soddisfano il cosiddetto comportamento compensatorio, cioè una reazione compiuta per avversare malumore, stress, tensioni psicofisiche, frustrazioni, insicurezze, paure. Come una sorta di catarsi che, passando per il rito dello shopping e del possesso (superfluo) dell’oggetto, fosse magicamente in grado di riempire vuoti di ben altra natura. Senza avere la pretesa di fare un’analisi psicologica delle utenti con la passione per il make-up e la cura di viso e corpo, si vedano video haul e video review di alcune iscritte a YouTube per capire con quanto trasporto emotivo alcune parlano dei prodotti cosmetici acquistati (due esempi su tutti: “Acquisti KIKO col mio Boyfriend, Swatches dei Colour Sphere, Mono e Matite” e “I miei prodotti KIKO preferiti + Cell. nuovo”. Tra le altre, vaxl2007, KissAndMakeup01, carlitadolce, giorgiapril, Lalla88morea).

Si scopre quindi che YouTube è in grado di scatenare persino atteggiamenti di eccessoressia e di oniomania parziali, denominazioni di fenomeni che descrivono la tendenza morbosa a comprare, perché non si può giustificare altrimenti l’attitudine ad acquistare, da parte di alcune, tutti i prodotti di un’intera collezione di make-up ogniqualvolta le case cosmetiche ne immettono di nuove sul mercato. E non è per caso ciò che le aziende di cosmesi (e non solo di cosmesi) desiderano?

Questa lunga disamina del fenomeno delle guresse e delle appassionate di make-up e cura di viso e corpo (attenzione: la grandezza del fenomeno non si limita soltanto agli utenti che postano i video ma si estende anche a quelli che ne usufruiscono in qualità di utenti passivi, con o senza account YouTube) è servita per eviscerare le proprietà del fenomeno in sé. Ma, ora, andiamo oltre.

Come sempre accade quando, all’interno di una comunità con un sovrascopo comune (es. YouTube è la community in cui l’insieme degli utenti prende parte caricando video e/o guardando video di terzi), una quantità copiosa di persone ha un interesse specifico e partecipato (es. YouTube annovera utenti attratti dai prodotti di maquillage e per la cura del viso e del corpo), spontaneamente questa forma un sottoinsieme. Dentro la community, quindi, guresse & Co. costituiscono una sottocommunity. Non è necessaria alcuna strategia peculiare di marketing per suddividere i potenziali clienti in gruppi caratterizzati da bisogni omogenei poiché il campione rappresentativo di un segmento è già precostituito (teenager e donne dai 14 ai 39 anni).

Riprendendo ciò che è stato scritto all’inizio, guresse e appassionate di maquillage e cura di viso e corpo “non sono esperte […] di pratiche innovative di web marketing”, tuttavia il fenomeno che hanno generato ben si presta alla lettura secondo prospettive di marketing e reti sociali.

Il segmento estrapolato da YouTube è assoggettabile all’enterperience (termine formato da ‘entertainment’/’entertaining’ e ‘experience’): il trucco femminile, che ha origini antiche che si perdono nella notte dei tempi, nelle diverse epoche è stato oggetto di evoluzioni fino ai giorni nostri. Rito, consuetudine, abitudine, divertissement sono sostantivi associabili alla pratica del make-up che, parallelamente, equivale alla pervasività del coinvolgimento scaturente dalla sperimentazione personale mediata dai sensi, tanto che il soggetto coinvolto diviene oggetto della sua stessa sperimentazione esperienziale.

Le aziende del settore cosmetico ed estetico più lungimiranti (e, mutatis mutandis, la stessa operazione è effettuabile dalle aziende che si occupano di altri settori di mercato, come hi-tech, moda, fitness, wellness, mondo mamma-bambino, cura e alimentazione di animali domestici, turismo, ecc.) possono facilmente dedurre le strategie di marketing più appropriate per fare web marketing non convenzionale servendosi dei social network per le campagne di social media marketing.

Ciò che è singolare è che gli utenti-consumatori non si rapportano direttamente all’azienda e alle sue promesse pubblicitarie esplicite, ma approdano all’azienda, e quindi ai suoi prodotti, in maniera indiretta e mediata.

È fondamentale sottolineare che il social media marketing più efficace e senza dispersione di costi ed energie non implica la partecipazione indistinta nella totalità dei social network con il maggiore numero di iscritti in un determinato Paese. Ogni social network possiede attributi tali da essere più o meno confacente a particolari strategie e al pubblico di riferimento.

Immettendo nel circuito YouTube, Facebook, Twitter, MySpace, Flickr e/o in altri social network, e poi in siti web, blog, forum ed eventualmente social network creati ad hoc, personaggi chiave del tutto confondibili con la “persona comune” (come “la ragazza della porta accanto” o “l’uomo della strada”) ai quali fornire i prodotti dell’azienda (di cui non si deve assolutamente parlare sempre bene) e quelli di aziende competitor (di cui non si deve assolutamente parlare sempre male), si possono creare sia gruppi sia nicchie interessati a una o più gamme di prodotto. Per mezzo di questi interventi si aumenta il volume delle conversazioni su un dato prodotto, si incrementa la notorietà e la reputazione positiva della marca.

In questo modo, e in un sol colpo, si combinano strategie di:

  • marketing tribale (tribal marketing). Mediante (sotto)comunità già esistenti o nuove, si dà vita al sentimento comunitario degli utenti-consumatori, bisognosi di ristabilire un legame sociale comunitario e che quindi si confrontano e condividono informazioni ed esperienze one-to-one (utente che posta video e che interagisce nei propri spazi dei social network e utente fan che vede video e semmai ne carica di propri, legge post, lascia commenti, risponde ai commenti altrui) e allo stesso tempo one-to-many (utente che interagisce con più fan contemporaneamente);
  • marketing virale (viral marketing). Gli utenti leader trasmettono messaggi a un numero considerevole di utenti finali secondo l’andamento, tanto veloce quanto esponenziale, del passaparola. Gli utenti informati, a loro volta, suggeriscono alla loro cerchia di relazioni amicali e familiari (diversificandoli per interessi, quindi preselezionandoli rispetto a tematiche e a categorie di prodotto) la conoscenza dell’idea;
  • buzz marketing. Da alcune scuole di pensiero sovrapponibile al viral marketing perché correlato al passaparola;
  • marketing relazionale. Una volta che l’utente è diventato cliente, la relazione si valorizza tramite la sua fidelizzazione al brand, che consente peraltro l’analisi delle informazioni via web (e non) dell’acquirente;
  • marketing esperienziale indiretto. L’accostamento tra ‘indiretto’ e ‘marketing esperienziale’ è dovuto al fatto che nei video review e nei video haul la vera e propria esperienza di entrare in contatto con il prodotto è fatta dall’utente che registra e carica il video, il quale trasferisce la propria esperienza all’utente che guarda il video. Il quale, a sua volta, vive indirettamente le percezioni trasmessegli grazie alla visualizzazione del packaging e delle caratteristiche del prodotto di make-up o per la cura del viso e del corpo, come consistenza, profumazione, persino gusto nel caso di gloss e rossetti. Sono così innescate sensazioni che, in maniera riflessa, coinvolgono rispettivamente la vista, il tatto, l’olfatto e il gusto. Oltre alla stimolazione dei sensi, si colpisce fortemente la sfera emozionale e immaginifica dell’utente finale, ancora più conquistato dal senso di possesso del prodotto (naturalmente se il giudizio è positivo) quando questo è adoperato per i video tutorial, in cui l’esperienza dell’uso del prodotto si attua nella sua forma più piena e si completa.

Per conseguire vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti, per comunicare con estrema naturalezza con il segmento di target che si desidera raggiungere e attrarre, per una serie di altre variabili complesse quanto delicate, è fondamentale attuare campagne di social media marketing assegnandole a risorse umane molto preparate, perché l’improvvisazione in questi casi non giova e, anzi, è una minaccia che può ritorcersi gravemente e irrimediabilmente contro l’azienda, la marca e il brand: provate a pensare cosa accadrebbe se gli utenti finali avessero il sospetto che i video di una guressa o di un’appassionata di make-up e di prodotti per viso e corpo fossero manovrati da un’azienda (esistono casi d’eccezione, come quello di Michelle Phan, la quale però dichiara esplicitamente di essere divenuta portavoce e tutorialist di Lancôme. Stesso discorso per ClioMakeUp, tutorialist di PUPA).

Come abbiamo già scritto in uno dei nostri “suggerimenti”, “assegnare il lavoro di gestione del social media marketing a una risorsa poco competente, inesperta o addirittura a uno stagista è come affidare una Ferrari a un neopatentato e pretendere che vinca un Gran Premio di F1”.

Nel caso in cui non si disponga né si voglia assumere personale specializzato in social media marketing, è bene rivolgersi a consulenti e ad agenzie in outsourcing, che vi prospetteranno bozze di strategie e preventivi, evidenziando come una campagna di social media marketing abbia un rapporto costo-beneficio di gran lunga più vantaggioso rispetto a strategie di marketing e di pubblicità tradizionali.

Quando si parla di social media marketing e Web 2.0 in generale, non tutte le aziende hanno ben chiaro di cosa si tratta. Non rinunciate a comprendere e approfondire perché equivale a rifiutare a priori nuove e importanti opportunità per il business.

:: OPEN DAY #02 – SOCIAL MEDIA MARKETING E MARKETING NEL WEB 2.0: QUANTO È EFFICACE E COME SI ATTUA?

Open Day #02 di Communication Village

Giovedì 3 giugno 2010 (ore 10-19)

SOCIAL MEDIA MARKETING E MARKETING NEL WEB 2.0:
QUANTO È EFFICACE E COME SI ATTUA?

Un percorso sintetico ed esaustivo per capire in cosa consiste il social media marketing e quali vantaggi porta alla comunicazione e al marketing dell’impresa di servizi o di e-commerce.

L’incontro online gratuito, svolto in audioconferenza o videoconferenza via Skype (account: communication_village), ha lo scopo di spiegare sinteticamente tutto ciò che occorre conoscere per sfruttare al meglio Internet nel marketing e nella comunicazione aziendale.

Specificamente:

  • che cos’è il social media marketing?
  • quali benefici porta il social media marketing al marketing e alla comunicazione d’impresa?
  • esistono svantaggi nell’effettuare azioni di social media marketing?
  • quali caratteristiche deve avere una campagna di social media marketing per essere efficace?
  • quali contenuti si possono trasmettere nelle campagne di social media marketing?
  • come si può utilizzare il social media marketing per la promozione di prodotti e servizi?
  • come si può impiegare il social media marketing per aumentare la notorietà dell’azienda?
  • come può il social media marketing favorire la fidelizzazione di clienti e/o fornitori e attirare potenziali clienti e/o fornitori?
  • come applicare le tecniche del marketing non convenzionale (es. marketing virale, community marketing o tribal marketing, marketing esperienziale, guerrilla marketing, ecc.)?
  • quali sono i social network (es. Facebook, Twitter, FriendFeed, LinkedIn, YouTube, MySpace, ecc.) i portali di social news e di social bookmarking migliori per realizzare campagne di social media marketing e come si devono utilizzare?
  • in ottica SEO, quanto giova il social media marketing alla visibilità e all’indicizzazione nei motori di ricerca?
  • il social media marketing concorre a formare e a consolidare la reputazione sul web (web reputation)?
  • come si gestiscono conversazioni, commenti e feedback da parte di clienti e/o fornitori attraverso il social media marketing?
  • quanto costa realizzare una campagna di social media marketing?
  • quali risorse umane e quali competenze sono necessarie per avviare e gestire una campagna di social media marketing?
  • quanto costa una campagna di social media marketing (dedicando risorse interne all’azienda o avvalendosi di una web agency esterna)?

Per soddisfare in modo esaustivo le richieste, consigliamo di prenotare l’orario desiderato entro martedì 1 giugno 2010 (da scegliere tra le ore 10 e le ore 19 di giovedì 3 giugno 2010, salvo fasce orarie già prenotate) in cui desiderate essere contattati: è sufficiente chiamare il numero 0382.554425, inviare un’e-mail all’indirizzo info@communicationvillage.com oppure contattarci direttamente via Skype (account: communication_village).

L’incontro, svolto in sessione one-to-one, ha la durata complessiva di un’ora e si terrà via Skype per consentire di limitare le spese logistiche che gli spostamenti comportano senza compromettere la qualità dell’esposizione dei contenuti e il dialogo.
A ciascuna sessione partecipa una singola azienda o un singolo professionista.
L’incontro è interamente gratuito.

Social media marketing e marketing nel Web 2.0: quanto è efficace e come si attua?


OPEN DAYS DI COMMUNICATION VILLAGE

Communication Village apre le porte a tutte le aziende, private e pubbliche, e ai professionisti dei settori comunicazione e marketing.
Dal 26 maggio al 23 giugno 2010, tutti i mercoledì (tranne mercoledì 2 giugno, con posticipazione a giovedì 3 giugno) dalle 10 alle 19.

Corso di formazione aziendale – Comunicazione e marketing non convenzionale


Corso di formazione aziendale

Comunicazione e marketing non convenzionale 

Communication Village inaugura tre nuovi corsi di formazione aziendale.
Per maggiori informazioni visitare la sezione “Formazione e corsi“.

I consumatori sono sempre più attivi nella propria capacità di valutare le offerte del mercato. Grazie a Internet e ai nuovi media sono sempre più numerose le persone in grado di raccogliere in modo autonomo informazioni sui prodotti e i servizi esistenti e farsi un’idea precisa su cosa acquistare.
In questo contesto il marketing e la comunicazione tradizionale o convenzionale stanno diventando sempre meno efficaci nel raggiungere e condizionare i consumatori.
Le aziende che vogliono mantenere o migliorare la propria posizione sul mercato devono imparare a comprendere in che modo l’ambiente di marketing e i media stanno cambiando per sfruttare al meglio tutte le nuove opportunità esistenti. Le nuove logiche di marketing vincenti sono quelle del cosiddetto marketing non convenzionale o non conventional marketing, un insieme di metodi che un’azienda di successo oggi non può ignorare.
Questo corso evidenzia le ragioni per cui il marketing convenzionale non è più in grado di affrontare il mercato attuale e spiega i nuovi metodi e strumenti del marketing non convenzionale, analizzandone le modalità di applicazione più corrette ed efficaci.


Programma del corso

Introduzione

  • Dalla comunicazione one-way alla comunicazione interattiva
  • Dalla comunicazione interattiva alla comunicazione partecipativa
  • Sociologia dei nuovi consumatori (o consum-attori)
  • Il Web 2.0 e i nuovi media
  • La “Generazione V”


I problemi del marketing tradizionale

  • Inadeguatezza delle segmentazioni tradizionali
  • Progressiva riduzione di efficacia dei media classici (unidirezionali)
  • L’autonomia decisionale e la nuova competenza dei consum-attori
  • La componente tempo: l’utente fa e segue solo quello che gli interessa
  • L’overdose di informazioni e messaggi


Gli obiettivi del nuovo marketing

  • Migliore, differente > Personale
  • Fidelizzazione > Lealtà
  • Emozione > Esperienza
  • Informazione > Conoscenza
  • Monomedialità > Plurimedialità
  • Persuasione > Adesione


Gli strumenti del nuovo marketing

  • Web 2.0

          – Blog
          – Social network
          – Content sharing

  • Mondi virtuali (Second Life)
  • Mobile application
  • Referenziazione del territorio (creare strumenti che rendono il territorio


Il viral marketing (o buzz marketing)

  • Principi del viral marketing
  • Funzionamento del viral marketing
  • Case history


Il guerrilla marketing

  • Principi del guerrilla marketing
  • Funzionamento del guerrilla marketing
  • Case history


Il community marketing (o tribe marketing)

  • Principi del community marketing
  • Funzionamento del community marketing
  • Case history


Il marketing esperienziale

  • Principi del marketing esperienziale
  • Funzionamento del marketing esperienziale
  • Case history


Caratteristiche del corso

  • Durata del corso: 16 ore (maggiorabili in base alle esigenze aziendali anche mediante l’aggiunta di moduli correlati su richiesta)
  • Locazione del corso: in presenza presso la sede del Cliente

Oltre a chiamare i numeri 0382.554425 o 340.5604858, potete scrivere un’e-mail all’indirizzo di posta elettronica a info@communicationvillage.com per ricevere informazioni sui particolari dell’erogazione del corso.

Trascrizione evento “Marketing esperienziale (SL-experiential marketing) in Second Life”

Trascrizione dell’evento “Marketing esperienziale (SL-experiential marketing) in Second Life “di lunedì 19 maggio (Agora SL Project di Communication Village).
Per una migliore comprensione del log della chat avvenuta in Second Life si consiglia di fare riferimento alle slide correlate all’articolo.

Florestan Schumann: Buonasera. Direi che possiamo iniziare. Io sono Pierluigi Emmulo (fuori dall’avatar) e, insieme a Arianna Bernardini (Vaniglia Oh, qui presente), gestisco le vicende di Communication Village a cui da poco si è aggiunta anche Skiello (Alessia Ramaschiello) per quello che concerne la sezione aziendale dedicata a Second Life.
In questo incontro affronteremo una tematica inerente al marketing non convenzionale, che ultimamente sta diventando sempre più importante ai fini di definire come interessare il pubblico a un certo prodotto/servizio al di là dei limiti derivanti da una comunicazione pubblicitaria priva di una vera capacità di infondere emozioni e coinvolgimento.
Il problema attuale della comunicazione pubblicitaria, e in genere di quella aziendale, è che il destinatario della comunicazione è sempre meno passivo e ha acquisito un ruolo di partecipante attivo ai processi di comunicazione. In questo modo, chi progetta azioni di comunicazione è sempre meno libero di elaborare delle strategie che non tengano conto dell’attività individuale del proprio pubblico. In sintesi, chi comunica non è più chi si esprime, ma anche chi riceve il flusso di comunicazione. Questo infatti, grazie alla versatilità dei nuovi media, permette di distribuirsi attraverso tutto il contesto degli attori che svolgono e percepiscono il processo di comunicazione. Non entriamo in dettaglio su questo punto, che spero sia in qualche modo dato per scontato e ben noto a tutti i presenti. In questo contesto però la comunicazione basata sul coinvolgimento esperienziale rappresenta una delle soluzioni più avanzate per sviluppare un rapporto forte tra chi presenta dei contenuti e chi li riceve. In questo quadro la comunicazione diventa totalmente partecipata anche a livello emotivo, ottenendo il risultato di rimanere fortemente impressa nel destinatario che diviene così totalmente attivo nella fruizione. A ogni modo di tutto questo vi parlerà in modo più diffuso e puntuale Skiello.

Skiello Oh: Buonasera a tutti. Come vi ha già detto Pierlugi/Florestan, mi chiamo Alessia Ramaschiello, sono laureata in Scienze della Comunicazione e neo collaboratrice di Pierluigi Emmulo e Arianna Bernardini. Oggi parleremo di marketing esperienziale, di web 2.0, di community, di creatività, brand experience e tanto altro. Alcuni dei presenti conoscono già l’argomento della mia tesi di laurea e stasera è per me un grande piacere condividere le mie considerazioni con loro e con tutti voi. Purtroppo non potrò soffermarmi come vorrei su ogni argomento, proverò quindi a essere rapida ma esauriente. Vi prego di voltare lo sguardo “virtuale” verso le slide.

Ho titolato la mia tesi “Second experience: applicazioni di marketing esperienziale nei mondi virtuali”. Vi spiegherò quindi in che termini, secondo me, è possibile per un’azienda fornire una vera e propria “seconda esperienza” all’utente, cliente o consumatore che dir si voglia. Come ben sapete, la “seconda vita” va oltre il gioco e offre numerose opportunità alle aziende, in termini di branding, comunicazione, fidelizzazione, ROI diretto e indiretto (attivabile grazie all’e-commerce o al cosiddetto SL-commerce). Il ROI rimane marginale rispetto al ROR (Return On Relationship), ovvero il ritorno sulla relazione, ben più importante nel mercato odierno. 

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Evento – Lunedì 19 maggio 2008, ore 21.30 – Marketing esperienziale (SL-experiential marketing) in Second Life

Agora SL Project di Communication Village

Lunedì 19 maggio 2008, ore 21.30 – Evento 04

Marketing esperienziale (SL-experiential marketing) in Second Life

Relatori: Alessia Ramaschiello/Skiello Oh in SL
e Pierluigi Emmulo/Florestan Schumann in SL

Luogo di incontro: auditorium di Communication Village a
Wonderland Island 75, 8, 24 (Second Life)

L’evento, aperto a tutti, si incentra sui tentativi di applicazione del marketing esperienziale in Second Life, piattaforma intesa come un innovativo ExPro (Fornitore di Esperienza) al fine di fornire la più innovativa shopping experience del momento.

Lo studio, condotto per l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, esamina le opportunità aziendali in termini di comunicazione, branding, fidelizzazione, ROI (Return On Investment) diretto e indiretto e ROR (Return On Relationship), CRM (Customer Relationship Management), CEM (Customer Experience Management), analizzando anche le potenzialità del marketplace, del B2B e del B2C.

Si spiegano le logiche afferenti al nuovo contesto di mercato product-oriented, che vede la fruizione da parte del cliente che da semplice consumatore diviene “consumattore”, e la realizzazione della logica customer-oriented.

Oltre alle tecniche di marketing non convenzionale (es. marketing tribale, marketing virale, guerrilla marketing), si esamina il concetto di esperienza come fondamento della creazione di valore in cui l’emozione svolge un ruolo primario.

Infine si approfondiscono le possibilità fornite dallo strumento Second Life, basandosi in particolare su brand community, immersione totale, interattività, fisicità 3D, aspetto ludico.

«Entrare in Second Life è già un’esperienza in sé: “dialogare con il brand” all’interno di un mondo fantastico (ma legato al mondo reale più di quanto si pensi) diventa così un’esperienza nell’esperienza»

Business e marketing nei mondi virtuali e in Second Life: il punto di vista di McKinsey e la videogame generation.

Una valutazione sul valore e sulla profittabilità del marketing e di un business nei mondi virtuali e in Second Life è stata recentamente espressa da un consulente senior – che ha preferito rimanere anonimo – di McKinsey & Company, una delle agenzie di consulenza di management più influenti del mondo.

Nella sua analisi riportata da Times On Line, l’agenzia parte dall’osservazione che i suoi clienti «non sono in grado di raggiungere la “videogame generation” nel modo in cui hanno fatto con le audience dei giornali». Altrettanto difficile è per le aziende riuscire a distinguersi nell’universo digitale in un modo ben marcato e individuabile.

La cosiddetta “videogame generation”, ossia quella fascia di popolazione con un’età inferiore ai 30 anni, ha vissuto infatti il proprio rapporto con i media con un’immersione costante nell’interattività. Per i giovani la fruizione di un contenuto proveniente da un dispositivo tecnologico significa immediatamente e univocamente la possibilità di interagire con esso – atteggiamento che si accentua progressivamente man mano che si considerano fasce di popolazione con età via via più ridotte.

Se chi ha più di 35 anni ha dovuto imparare a conquistare la propria capacità di esprimersi attivamente attraverso i media, apprendendo spesso a fatica come compiere delle scelte attive e immettere progressivamente una quantità sempre più ampia di contributi personali nel flusso di contenuti preordinato veicolato dai media, i giovani e i giovanissimi hanno invece da subito sperimentato l’opportunità di disporre del diritto e della capacità di operare scelte e di decidere in piena autonomia cosa fruire e cosa no. In più, per loro la fruizione dei media coincide sempre più con la partecipazione alla creazione dei contenuti in modo diretto – come accade nei videogame, appunto, per cui il divertimento consiste essenzialmente nella capacità di agire, prendere decisioni, compiere delle scelte capaci di condizionare l’intero andamento del flusso dei contenuti – piuttosto che con l’assorbimento passivo di una corrente di informazioni con cui non si può dialogare.
Questa fascia di pubblico è sempre più indifferente – se non addirittura riluttante – a subire gli effetti di una comunicazione a senso unico, tipica dei media tradizionali. Carta stampata e televisioni – meno la radio che conserva ancora degli spazi di interazione più forti e che comunque può essere fruita in modo più indiretto mentre si svolgono altre attività, come in auto o in aree pubbliche – risultano dei media troppo freddi e privi di capacità di coinvolgere, per cui i più giovani stanno progressivamente allontanandosene o comunque limitando sempre più l’ascendenza che questi canali hanno esplicato fino ad ora.

A detta di McKinsey, pertanto, quelle aziende orientate al business to consumer (B2C) che vogliono conquistare l’attenzione di chi ha meno di 30 anni devono assolutamente tentare la sperimentazione nei mondi virtuali. Opinione espressa in un report di 150 pagine in cui si definiscono alcuni modelli di business fruttuosi mediante i quali le aziende possono realizzare un ritorno dell’investimento dopo avere svolto azioni di marketing e comunicazione che fanno uso dei mondi virtuali – Second Life in testa.

In realtà le critiche che qualche mese fa sono state mosse contro Second Life – ossia che presenta delle barriere all’ingresso di tipo tecnologico, che sia piuttosto complesso da usare e che abbia arrecato pochi benefici a chi abbia utilizzato questo mondo virtuale per tentare delle azioni di marketing – appartengono a un momento di riflusso arginato alla prima ora.

I modelli di marketing che non funzionano sono oggi molto più chiari, mentre lo studio più avveduto delle dinamiche dei mondi virtuali ha condotto a definire dei modelli che sono in grado di garantire dei ritorni precisi e misurabili, di valore comparabile a tutti gli altri modelli – spesso più semplici e meno elastici – applicabili al Web.

Quello che è chiaro agli analisti è che si sta entrando nella seconda fase dello sviluppo di Second Life, che non è più solo intesa come una replica arricchita del Web, ma un universo molto più ampio e sfaccettato che un’azienda può sfruttare per ottenere una molteplicità di benefici. Tra questi la creazione di meeting virtuali, la realizzazione di corsi di formazione al personale molto più intensi e completi rispetto a quelli effettuabili tramite una piattaforma di formazione a distanza basata sul Web, l’esplicazione di azioni di marketing esperienziale e di community.

Per esempio un’azienda americana di autotrasporti sta utilizzando Second Life per insegnare ai conducenti come parcheggiare i camion correttamente in condizioni di traffico cittadino, mentre la catena alberghiera Hilton sta addestrando i receptionist a comportarsi correttamente con i clienti proprio impiegando delle riproduzioni virtuali di una sala d’ingresso. Altre aziende stanno usando il mondo virtuale come ambiente di simulazione per insegnare ai dipendenti ad affrontare le più svariate situazioni impreviste senza bisogno di ricorrere a lunghe e costose esercitazioni in situazioni reali.

Il grosso problema è che la maggior parte delle agenzie che finora hanno supportato le aziende a fare il migliore uso di vecchi e nuovi media si trovano del tutto impreparate ad affrontare la comunicazione nei mondi virtuali. Come osserva il consulente di McKinsey, «laddove i bisogni del Web bidimensionale erano ben soddisfatti dai designer grafici, il mondo 3D necessita di una concezione cinematografica. Si ha bisogno di sceneggiatori, di attori e di registi che sappiano coinvolgere i frequentatori della piattaforma in scenari e situazioni basate su stimoli attivi tipici dei film e dei videogame».

Proprio queste agenzie – che fino a pochi anni fa rappresentavano proprio la frontiera avanzata della comunicazione più rivoluzionaria e avanguardistica – stanno assumendo dei comportamenti conservativi e reazionari, finalizzati a rallentare l’ingresso dei nuovi media e a mantenere la propria posizione di dominio basato su competenze non facilmente aggiornabili e sicuramente non più sufficienti a fronteggiare le opportunità offerte dai nuovi strumenti mediatici.

Toccherà alle aziende iniziare a capire che, per sopravvivere in un universo di comunicazione in costante cambiamento, dovranno diffidare sempre di chi non si mostri aperto a tutte le nuove opportunità. O, come dicono in McKinsey, ignorarle sapendo però di farlo «a proprio rischio e pericolo».

Pubblicità in Second Life: il caso L’Oréal e il confronto con campagne pubblicitarie sul Web e i banner.

Una campagna pubblicitaria in Second Life ha come primo problema il limitato pubblico che è in grado di raggiungere. Con i circa 500.000 utenti attivi che animano il mondo virtuale di Linden Lab, l’impatto può sembrare poca cosa se si compara il grado di visibilità di una campagna sviluppata su portali Web che vantano una media di altrettanti utenti unici al giorno.

Bisogna però fare un’analisi più attenta guardando con più profondità i numeri e i comportamenti degli utenti. Il primo problema ben noto a chi realizza un banner è la cosiddetta “banner blindness”, ossia la tendenza dell’utente a ignorarlo – letteralmente a non vederlo, girando lo sguardo in modo da evitarlo e di sfuggire alla percezione del contenuto. Inoltre, il rapporto tra il contenuto stesso e la percezione intellettuale ed emozionale è quanto mai limitata, dal momento che il banner è quasi sempre percepito innanzi tutto come un elemento di disturbo nella pagina Web, piuttosto che un oggetto che si integra e accresce di nuovi spunti la fruizione della pagina stessa.

Questo rapporto tra banner e utenza si risolve in una bassissima redemption, se viene misurata attraverso il click-through (il cliccare sul banner per andare sul sito dell’inserzionista). Peraltro, studi recenti condotti sull’utenza Internet americana avvertono che circa l’80% dei click sul banner vengono effettuati solamente da circa il 15% dell’effettiva popolazione di utenti che naviga sul Web.

Se invece si misura la redemption attraverso indagini che verificano a campione il grado di brand awareness o di product awareness creata o rinforzata dal banner, i pareri degli analisti imparziali sono tendenzialmente pessimistici. Sebbene ci sia chi sostiene che in effetti la ripetizione di un banner produce un effetto inconscio di assimilazione della marca – al punto da aumentare la positività dell’atteggiamento verso marca o prodotto presentato –, rimane che solitamente l’impatto esplicato da un banner ben progettato è estremamente basso sulla memoria del consumatore o sul grado di percezione positiva del messaggio in termini emozionali.

L’effetto massimo di una campagna pubblicitaria si ottiene quando il livello di esposizione del destinatario provoca un interesse attivo verso i contenuti veicolati. L’ideale è riuscire a coinvolgere il destinatario arrivando a rendere il messaggio pubblicitario una parte della sua esperienza diretta: in questo caso il prodotto si salda in qualche modo con una parte della vita del fruitore del messaggio, con il risultato di stabilire un rapporto di profonda lealtà tra la marca/prodotto e il consumatore.

Operazioni del genere riescono di rado, per esempio con spot televisivi che riescono a colpire l’attenzione dello spettatore diventando parte del suo immaginario o saldandosi al suo vissuto. In altri casi attraverso operazioni più complesse attuate con una concomitanza di diversi media o con l’organizzazione di eventi in cui il pubblico viene coinvolto direttamente e trasformato da fruitore di messaggi in attore: è il caso delle azioni di marketing esperienziale che puntano alla partecipazione diretta del pubblico a situazioni memorabili o all’interazioni in contesti ben strutturati in cui il prodotto o l’azienda stabiliscono un dialogo serrato con un campione ben scelto del proprio pubblico di riferimento.

Second Life permette di ottenere eccellenti risultati in questo tipo di comunicazione proprio grazie alla sua natura di strumento di partecipazione collettiva capace di simulare uno spazio e un’esperienza reale. Una dimostrazione proviene da una campagna di comunicazione realizzata da L’Oréal: è stata realizzata una serie di quattro oggetti riproducenti dei prodotti per il make-up che gli utenti potevano prelevare mediante il proprio avatar. Questi davano gratuitamente all’utente delle particolari skin (dei visi da applicare al proprio avatar) che riprendevano lo stile di alcuni dei più pubblicizzati maquillage proposti di recente dall’azienda di cosmetici.

I risultati della prima fase della campagna, messa in atto da KZero, sono stati commentati da James Wagner Au, autore di uno dei blog più autorevoli sugli utilizzi di Second Life. L’analista osserva che «in tre mesi di campagna, 34.000 residenti di Second life hanno preso almeno uno dei quattro oggetti disponibili. Confrontati con la percentuale dei circa 550.000 active user al mese, significa un click-through compreso tra 1,6 e 6,2% (questo intervallo dipende da quanti dei quattro oggetti L’Oréal sono stati prelevati da ciascun residente). Valore decisamente interessante se confrontato con i tradizionali banner per il Web, che normalmente ottiene valori intorno allo 0,5%».

Va notato anche che gli utilizzatori della skin hanno potuto legare la percezione del marchio L’Oréal al proprio avatar per tutto il tempo che la skin è stata utilizzata, realizzando un rapporto di rinforzo continuo della percezione del marchio che crea un rapporto molto intenso tra l’utente e il brand. In altri termini, molto più del tradizionale clock-through, il prelevamento della skin realizza un livello di partecipazione esperienziale al marchio – anche se svolto nell’ambiente virtuale di Second life – che permette di produrre una brand awareness di grandissimo impatto, capace di tradursi facilmente in un utilizzo dei prodotti della casa cosmetica anche nel mondo reale.

La base del successo è innanzi tutto quella di adottare delle logiche di comunicazione che esaltino la partecipazione e la convenienza dell’utilizzo, sfruttando al meglio le opportunità offerte da Second Life come strumento di simulazione della realtà. Se questo si verifica, il risultato di una campagna pubblicitaria va ben oltre il numero limitato di 550.000 utenti attivi, ma permette di generare anche dei flussi virali che diffondono in modo energico il valore del marchio e del prodotto.

Va precisato che non sono numerosi gli esperimenti di questo tipo finora attuati in Second Life. Mancano poi dei numeri precisi sulle pubblicità miranti a coinvolgere soprattutto gli utenti italiani, ma ci sono tutti i presupposti per ritenere che, a fronte di una campagna costruita in modo da sfruttare al meglio le caratteristiche del mezzo (e quindi non riproducendo ottusamente modelli di comunicazione validi su altri media), possano ottenersi risultati significativi da affiancare in modo proficuo a quelli conseguibili con i media tradizionali.

Marketing esperienziale e Second Life: il mondo virtuale permette l’identificazione psicologica?

Quanto Second Life riesce a coinvolgere gli utenti dal punto di vista psicologico? Chi si occupa di marketing esperienziale si pone questa domanda immediatamente appena affronta la possibilità di utilizzare un nuovo strumento di comunicazione.

Consentire agli utenti di identificarsi psicologicamente con quello che succede nel mondo virtuale è fondamentale per infondere degli stimoli che possono creare un livello di partecipazione emotiva elevato. In questo senso, possedere la capacità di coinvolgere emotivamente significa essere in grado di vendere o di presentare prodotti, servizi o anche solo un brand in modo profondo e personale.

Secondo Rick Van Der Wal, autore del blog Digital Adoption – Digado, la rappresentazione del mondo come viene effettuata nella realtà virtuale di Second Life è incapace di permettere agli utenti una “immersività” profonda, dove per immersività si intende il senso di identificazione che chi frequenta un mondo virtuale ha con gli avvenimenti e i luoghi in cui si muove, interpretandoli istintivamente come se fossero davvero reali.

Secondo Van Der Wal sono cinque le ragioni fondamentali che impediscono a un utente di identificarsi appieno con l’ambiente virtuale di Second Life.

  1. Teletrasporto (o teleport). Teletrasportarsi con un click da una parte all’altra dell’universo virtuale riduce il realismo associato alla fatica del viaggio. Nella realtà noi siamo costretti a conquistare gli spazi che visitiamo lentamente, passo a passo o utilizzando mezzi di locomozione che ci costano comunque un dispendio di energie. «Il teletrasporto distrugge la percezione dello spazio, dei luoghi e della distanza, tutte qualità irrinunciabili di una vera identificazione in qualcosa che chiamiamo un mondo» osserva Van Der Wal.
  2. Capacità di volare. Nel mondo reale noi non voliamo. Farlo in un mondo virtuale compromette la corretta rappresentazione del nostro modo di essere e di agire nel mondo reale. «Usiamo oggetti (ostacoli) per costruire confini, definire/marcare i territori (muri), o tracciare un certo percorso che possiamo seguire. La capacità di volare rende queste cose del tutto obsolete». E per Van Der Wal tutto questo finisce per rovinare l’immersività.
  3. Pieno controllo sulla visualizzazione dello scenario. In Second Life è possibile definire ad libitum il momento della giornata in cui ci si trova, eliminare le nuvole, intervenire su sfondi e variare le condizioni di illuminazione. Tutto questo riduce la sensazione di quei limiti che invece esistono nel mondo reale.
  4. Leggi fisiche non obbligatorie. Tutti gli oggetti in Second Life non sono dotati di caratteristiche fisiche predefinite. Queste vengono assegnate dai residenti, che ne definiscono arbitrariamente le proprietà. In questo modo la distanza tra mondo reale e mondo virtuale è quasi incolmabile.
  5. Controlli manuali del punto di vista dell’utente. In ogni momento il punto di osservazione dell’utente non è legato in modo fisso alla posizione dell’avatar. L’utente è libero di muovere il suo punto di osservazione liberamente all’interno del limite di disegno del software (cioè fino a 256 metri intorno all’avatar). In questo senso l’avatar è semplicemente un punto di riferimento piuttosto che il punto di osservazione del mondo.

Tutti questi aspetti, secondo Van Der Wal, contribuiscono a rendere Second Life un universo virtuale a basso livello di coinvolgimento per gli utenti.

Questo punto di vista parte da un presupposto tacito: ci si può identificare solo quando ci si trova in una condizione che riproduce fedelmente l’universo del conosciuto e del vissuto quotidiano. In pratica solo ciò che collima con le esperienze e l’universo di conoscenze acquisito e consolidato può essere ritenuto valido e quindi può permettere un’identificazione psicologica.

In realtà la mente umana funziona per modelli piuttosto che per riproduzioni pedisseque. In altri termini la rappresentazione di una situazione viene effettuata mediante l’individuazione di alcuni elementi significativi capaci di simbolizzarla, mentre tutti gli altri vengono adattati di conseguenza in modo dinamico e non prestabilito.

Il cinema conosce bene questa modalità e la denomina “sospensione dell’incredulità”. In questo senso è possibile seguire facilmente le vicende di topi che parlano e si comportano come esseri umani, di supereroi che riescono a vincere la forza di gravità o di uomini talmente forti da battersi contro una ventina di avversari uscendone facilmente vincitori e senza un graffio.

Ancora di più: il coinvolgimento emotivo, di fronte all’irrealisticità di certe rappresentazioni, è in molti casi più forte di quello suscitato da riproduzioni fedeli di fatti reali, che in molti casi, proprio perché estremamente vicine a quanto vissuto nella quotidianità, mettono in funzione dei meccanismi di difesa psicologica. Sapere che una cosa è fuori dalla nostra portata per molti versi tranquillizza e permette di fare scattare liberamente quella dimensione più viscerale e immaginifica che compensa proprio le mancanze e i limiti della realtà ordinaria.

Per qualche verso è un aprire le porte al sogno, al desiderio recondito. Proprio questo dà il la alla possibilità di un livello di identificazione di tipo mentale molto avanzato, in cui ciascuna persona può liberare le proprie pulsioni normalmente tenute sotto controllo e provare a vivere vicende personali confinate solo nella fantasia.

Una delle leve che un comunicatore può utilizzare quando fa uso dello strumento Second Life per coinvolgere gli utenti è proprio questa predisposizione alla rappresentazione fantastica che l’universo virtuale di Linden Lab produce. Gli utenti sono più disposti al sogno e al lasciare correre l’immaginazione. Agendo su questo con adeguate linee di comunicazione è possibile conferire a prodotti, brand o servizi che si vogliono valorizzare un livello di emozionalità elevatissimo. Con l’effetto di ottenere una grande capacità di memorizzazione del contenuto e un livello di partecipazione emotiva straordinario.