Una valutazione sul valore e sulla profittabilità del marketing e di un business nei mondi virtuali e in Second Life è stata recentamente espressa da un consulente senior – che ha preferito rimanere anonimo – di McKinsey & Company, una delle agenzie di consulenza di management più influenti del mondo.
Nella sua analisi riportata da Times On Line, l’agenzia parte dall’osservazione che i suoi clienti «non sono in grado di raggiungere la “videogame generation” nel modo in cui hanno fatto con le audience dei giornali». Altrettanto difficile è per le aziende riuscire a distinguersi nell’universo digitale in un modo ben marcato e individuabile.
La cosiddetta “videogame generation”, ossia quella fascia di popolazione con un’età inferiore ai 30 anni, ha vissuto infatti il proprio rapporto con i media con un’immersione costante nell’interattività. Per i giovani la fruizione di un contenuto proveniente da un dispositivo tecnologico significa immediatamente e univocamente la possibilità di interagire con esso – atteggiamento che si accentua progressivamente man mano che si considerano fasce di popolazione con età via via più ridotte.
Se chi ha più di 35 anni ha dovuto imparare a conquistare la propria capacità di esprimersi attivamente attraverso i media, apprendendo spesso a fatica come compiere delle scelte attive e immettere progressivamente una quantità sempre più ampia di contributi personali nel flusso di contenuti preordinato veicolato dai media, i giovani e i giovanissimi hanno invece da subito sperimentato l’opportunità di disporre del diritto e della capacità di operare scelte e di decidere in piena autonomia cosa fruire e cosa no. In più, per loro la fruizione dei media coincide sempre più con la partecipazione alla creazione dei contenuti in modo diretto – come accade nei videogame, appunto, per cui il divertimento consiste essenzialmente nella capacità di agire, prendere decisioni, compiere delle scelte capaci di condizionare l’intero andamento del flusso dei contenuti – piuttosto che con l’assorbimento passivo di una corrente di informazioni con cui non si può dialogare.
Questa fascia di pubblico è sempre più indifferente – se non addirittura riluttante – a subire gli effetti di una comunicazione a senso unico, tipica dei media tradizionali. Carta stampata e televisioni – meno la radio che conserva ancora degli spazi di interazione più forti e che comunque può essere fruita in modo più indiretto mentre si svolgono altre attività, come in auto o in aree pubbliche – risultano dei media troppo freddi e privi di capacità di coinvolgere, per cui i più giovani stanno progressivamente allontanandosene o comunque limitando sempre più l’ascendenza che questi canali hanno esplicato fino ad ora.
A detta di McKinsey, pertanto, quelle aziende orientate al business to consumer (B2C) che vogliono conquistare l’attenzione di chi ha meno di 30 anni devono assolutamente tentare la sperimentazione nei mondi virtuali. Opinione espressa in un report di 150 pagine in cui si definiscono alcuni modelli di business fruttuosi mediante i quali le aziende possono realizzare un ritorno dell’investimento dopo avere svolto azioni di marketing e comunicazione che fanno uso dei mondi virtuali – Second Life in testa.
In realtà le critiche che qualche mese fa sono state mosse contro Second Life – ossia che presenta delle barriere all’ingresso di tipo tecnologico, che sia piuttosto complesso da usare e che abbia arrecato pochi benefici a chi abbia utilizzato questo mondo virtuale per tentare delle azioni di marketing – appartengono a un momento di riflusso arginato alla prima ora.
I modelli di marketing che non funzionano sono oggi molto più chiari, mentre lo studio più avveduto delle dinamiche dei mondi virtuali ha condotto a definire dei modelli che sono in grado di garantire dei ritorni precisi e misurabili, di valore comparabile a tutti gli altri modelli – spesso più semplici e meno elastici – applicabili al Web.
Quello che è chiaro agli analisti è che si sta entrando nella seconda fase dello sviluppo di Second Life, che non è più solo intesa come una replica arricchita del Web, ma un universo molto più ampio e sfaccettato che un’azienda può sfruttare per ottenere una molteplicità di benefici. Tra questi la creazione di meeting virtuali, la realizzazione di corsi di formazione al personale molto più intensi e completi rispetto a quelli effettuabili tramite una piattaforma di formazione a distanza basata sul Web, l’esplicazione di azioni di marketing esperienziale e di community.
Per esempio un’azienda americana di autotrasporti sta utilizzando Second Life per insegnare ai conducenti come parcheggiare i camion correttamente in condizioni di traffico cittadino, mentre la catena alberghiera Hilton sta addestrando i receptionist a comportarsi correttamente con i clienti proprio impiegando delle riproduzioni virtuali di una sala d’ingresso. Altre aziende stanno usando il mondo virtuale come ambiente di simulazione per insegnare ai dipendenti ad affrontare le più svariate situazioni impreviste senza bisogno di ricorrere a lunghe e costose esercitazioni in situazioni reali.
Il grosso problema è che la maggior parte delle agenzie che finora hanno supportato le aziende a fare il migliore uso di vecchi e nuovi media si trovano del tutto impreparate ad affrontare la comunicazione nei mondi virtuali. Come osserva il consulente di McKinsey, «laddove i bisogni del Web bidimensionale erano ben soddisfatti dai designer grafici, il mondo 3D necessita di una concezione cinematografica. Si ha bisogno di sceneggiatori, di attori e di registi che sappiano coinvolgere i frequentatori della piattaforma in scenari e situazioni basate su stimoli attivi tipici dei film e dei videogame».
Proprio queste agenzie – che fino a pochi anni fa rappresentavano proprio la frontiera avanzata della comunicazione più rivoluzionaria e avanguardistica – stanno assumendo dei comportamenti conservativi e reazionari, finalizzati a rallentare l’ingresso dei nuovi media e a mantenere la propria posizione di dominio basato su competenze non facilmente aggiornabili e sicuramente non più sufficienti a fronteggiare le opportunità offerte dai nuovi strumenti mediatici.
Toccherà alle aziende iniziare a capire che, per sopravvivere in un universo di comunicazione in costante cambiamento, dovranno diffidare sempre di chi non si mostri aperto a tutte le nuove opportunità. O, come dicono in McKinsey, ignorarle sapendo però di farlo «a proprio rischio e pericolo».