:: WEBMASTERPOINT SI RINNOVA: LE NOVITÀ E IL CONTRIBUTO DI COMMUNICATION VILLAGE

Tra le numerose forniture di contenuti redazionali che eroghiamo quotidianamente, c’è anche quella per WebMasterPoint.org, uno dei siti di riferimento in Italia per chi si occupa o è appassionato di Internet, informatica e prodotti hi-tech.

Per Webmasterpoint produciamo ogni giorno un flusso di news e approfondimenti che coprono tutti i principali aspetti dell’universo ICT e dell’hi-tech, per un totale di circa 100 aggiornamenti a settimana, distribuiti nelle categorie principali Programmazione, Web Design, ICT Business e Approfondimenti.

In occasione dei 10 anni di presenza sul web, WebMasterPoint.org ha rinnovato completamente la grafica e la tipologia di contenuti. Un’azione che ci fa piacere, perché è segno di una crescita evidente e prova di un successo al quale abbiamo contribuito con il nostro impegno e il nostro lavoro redazionale costante e scrupoloso.

Le novità principali del nuovo assetto grafico, che introduce un look and feel più coinvolgente e moderno, riguardano innanzi tutto una migliore disposizione e categorizzazione delle news e degli approfondimenti.
Altra innovazione rilevante è la possibilità di scrivere commenti e/o domande in calce a ciascun articolo, che apre il portale a un dialogo più stretto e dinamico con i lettori. Insomma, anche Webmasterpoint, a piccoli passi, sposa le logiche del Web 2.0.

Il prossimo step, già programmato, è quello di diffondere in modo sempre più ampio i contenuti del portale, sfruttando le logiche del social media marketing.

Un modo per andare incontro ai lettori stimolando sempre più la conversazione sui temi più caldi della tecnologia.

WebMasterPoint.org

:: WEB 2.0, COMUNICAZIONE E MARKETING: IL FENOMENO DELLE GURESSE DEL MAKE-UP IN YOUTUBE E NEI SOCIAL NETWORK

Di Arianna Bernardini –

Non sono esperte di comunicazione e di pratiche innovative di web marketing, eppure sanno sfruttare al meglio le potenzialità del Web 2.0 e i suoi canali più adeguati (proprio perché non tutti sono adatti a un preciso scopo) per apparire, esprimere capacità e creatività, riferire opinioni, persuadere.

E sono in grado come quasi nessun altro, facendo concorrenza ai VIP ingaggiati come testimonial a suon di lauti cachet, di influenzare e anche suggestionare gli acquisti di ragazze e donne in fatto di prodotti per il maquillage, cura del viso e del corpo, nailart.

Sono le guresse del make-up (o tutorialist di make-up) che popolano YouTube, e spopolano su YouTube, con i loro video tutorial (video per la realizzazione passo a passo di determinate tecniche di trucco, per l’applicazione ottimale di prodotti per la bellezza, per la preparazione di prodotti fai-da-te), video haul (video relativi all’acquisto di prodotti non ancora provati sulla propria pelle e quindi non sottoponibili a recensione), video review (video con recensioni di prodotti testati), video giveaway (video con cessione di premi, nella fattispecie prodotti per il make-up e la cura di viso e corpo, oltre ad accessori di bellezza) con o senza contest (‘concorso’, ‘gara’; nei video, le tutorialist propongono ai fan del loro canale YouTube di indovinare qualcosa o di creare un certo trucco, il cui clip va postato in risposta al contest: chi dà le risposte corrette o chi esegue il migliore make-up viene premiata con la ricompensa in palio. Quando non viene indetto un contest vero e proprio, di norma è sufficiente postare un commento testuale in risposta al video del giveaway e, al termine della data di scadenza fissata, si procede all’estrazione del vincitore mediante il generatore online di numeri casuali Random.org), video tag (ciascun utente realizza un filmato sulla base di una tematica ben precisa. Un esempio di video tag di successo, che gira online instancabilmente da anni, è “What’s in my pursue/bag”, in italiano “Cosa c’è nella mia borsa?”. Facoltativamente, si possono anche taggare alcuni amici, che con molta probabilità parteciperanno anch’essi al video tag postando il loro video, dando così il via a un meccanismo simile a quello meglio conosciuto come catena di Sant’Antonio).

Video in cui visi metà truccati e metà acqua e sapone si trasformano in volti perfettamente imbellettati, in cui il dorso delle mani è impiegato come una tavolozza per mostrare gli swatch dei prodotti (in parole povere, la tradizionale prova colore di un prodotto di make-up prima di essere adoperato sul viso o sul corpo), in cui si passano in rassegna raccolte di pennelli professionali e si insegna a quale tipo di prodotto devono essere abbinati per la stesura, in cui si discute di INCI (“International Nomenclature of Cosmetic Ingredients”, in italiano “Nomenclatura Internazionale degli Ingredienti Cosmetici”, ossia l’etichetta dei prodotti cosmetici), in cui si chiede quali siano i segreti per la perfetta applicazione di una tipologia di prodotto (es. fondotinta con spugnetta, beauty blender, pennello per fondo o pennello kabuki per i fondotinta minerali, eye-liner liquido o in gel o cake eye-liner, illuminante tra occhi e parte superiore degli zigomi, ecc.), in cui si invita una guressa a creare il trucco ispirato a fotografie di VIP per poi poterlo replicare sul proprio viso e così via.

Poiché le guresse del make-up hanno giustamente intuito che YouTube non è il solo canale del web dove creare relazioni one-to-one e one-to-many con altri utenti, è stato un processo spontaneo dare origine a siti personali o siti dedicati al maquillage, blog, forum, pagine personali e fan page in Facebook, account Twitter e MySpace, che avessero come argomento dominante make-up e cura di viso e corpo. Spazi online in cui le guresse, come anche in YouTube del resto, possono approfondire anche altri aspetti della loro vita privata (non è raro che, in un video, una guressa mostri dei fotogrammi in cui si intravede il marito, il figlioletto, il gatto di casa. E questo aiuta a tenere viva la curiosità dei fan) e in cui gli affezionati possono partecipare con commenti di approvazione o disapprovazione (es. “Anche io amo molto l’ombretto X”, “Purtroppo il blush Y a me fa venire antiestetici brufoletti sottopelle”, “Tu e tuo marito formate davvero una bella coppia”, “Tuo figlio è bellissimo”, “Voi donne state sempre a pensare a truccarvi” – commento palesemente maschile), richieste (es. “Dove posso trovare il fondotinta X?”, “Quanto hai pagato il rossetto Y?”, “Dove hai preso quel bellissimo fiore che porti tra i capelli?”, “Come faccio a…”), curiosità addirittura un po’ eccessive (“Sei rientrata dal viaggio in Italia? Cosa ti ha preparato per cena tuo marito?”, “Il gatto si è ripreso dalla bronchite?”) che talvolta arrivano a generare aspetti tragicomici (dimostrazione di quanto detto finora emerge dai video “Le mie 5 domande preferite”, “Le mie nuove domande preferite” e “Un anno di YouTube” dell’esuberante make-up artist Giuliana, alias Makeupdelight2009 in YouTube).

Il fenomeno non è soltanto contenuto nel web, dove si già compie nella sua completezza, ma esce dai confini di schermo, tastiera, webcam e ADSL per spostarsi nelle strade dove ci si dà appuntamento per i raduni, nei bar dove si consuma qualcosa per rilassarsi e chiacchierare dopo l’esperienza collettiva di shopping nei negozi monomarca o multimarca e nei reparti profumeria dei grandi magazzini. Le relazioni tra utenti si trasformano e divengono relazioni vere, reali, non mediate dal computer (es. intervista del TG1 e intervista del TG2 a ClioMakeUp, Makeupdelight2009 alla M∙A∙C di Catania, incontro a Milano tra appassionate di make-up).

Naturalmente il fenomeno guresse e smodate fan del make-up non è solo italiano, bensì mondiale.

Tra le autorità straniere del settore occorre menzionare per prima la giovane e trasformista make-up artist americana di origine vietnamita Michelle Phan, la quale ha saputo già guadagnarsi una pagina in Wikipedia poiché il suo canale spicca sempre tra quelli con più iscritti (a oggi sono oltre 805.000, potendo vantare più di 30 milioni di visualizzazioni canale e più di 190 milioni di visualizzazioni totali caricamenti). Michelle Phan ha creato un’azienda cosmetica (IQQU Beauty International) e recentemente è divenuta portavoce e tutorialist di Lancôme. Michelle Phan online: sito personale, Facebook, Twitter, MySpace.

Seguono la statunitense juicystar07, appassionata di bellezza (non è una make-up artist) e moda; l’inglese panacea81, la classica “ragazza della porta accanto” dalla pronuncia britannica tipica del Regno Unito nord-orientale e che ha al suo attivo due pubblicazioni editoriali come unica autrice (“Lauren Luke” e “Lauren Luke Looks: 25 Celebrity and Everyday Makeup Tutorials”) e una linea cosmetica che porta il suo nome (Lauren Luke’s Official Cosmetics); l’inglese, ma dalle evidenti origini asiatiche, bubzbeauty, che per certi versi ricorda (o imita?) Michelle Phan. Seguono AllThatGlitters21; kandeejohnson; fafinettex3; MakeupGeekTV; julieg713; MakeupByTiffanyD; pursebuzz; DulceCandy87; MissChievous.

Anche alcune guresse italiane si distinguono, sempre per numero di iscritti, visualizzazioni canale e visualizzazioni totali caricamenti del canale YouTube.

ClioMakeUp (Clio Zammatteo) è una make-up artist bellunese a Brooklyn, autrice del libro “Clio Makeup” edito da Rizzoli e recentemente tutorialist-testimonial di PUPA, azienda che ha pensato bene di attuare un’azzeccata manovra di marketing richiedendo la collaborazione della guressa italiana del make-up più famosa. Clio è stata anche ospite di alcune trasmissioni televisive. Clio online: sito personale, forum, Facebook, Flickr.

Makeupdelight2009 (Giuliana Arcarese), anch’essa make-up artist italiana che vive negli Stati Uniti, gestisce anche un canale sul make-up in lingua inglese (GiulianaMUA) e talvolta appare su importanti riviste femminili (es. ELLE) che si interessano alla sua attività di guressa. Giuliana online: Facebook, forum, Twitter.

Altre ragazze molto seguite, sebbene non professioniste del make-up, sono MisStrawberryFields, chienkiri, LaCindina, KissAndMakeup01, AlicelikeAudrey, bluebeam310, carletta22.

Le guresse del make-up non sono solo fonte di ispirazione per trucchi per ogni occasione del giorno e della sera. Sono altresì modelli da imitare da parte di migliaia di ragazze e donne le quali con il make-up talvolta non se la cavano neppure tanto bene (darkstarwithoutsky è tra gli esempi più eclatanti in quanto ad approssimazione e imprecisione, basti vedere il video “Trucco verde”, così come sono inevitabili le parodie, come “Karina ti fa carina!”) ma che sono ottime recensitrici di prodotti, come del resto lo è ognuno di noi quando formula un giudizio personale rispetto a un articolo comprato e utilizzato.

Guresse e semplici ‘addicted’ del make-up in YouTube, così come le recensitrici occasionali su portali come Ciao.it, Yahoo! Answers e similari, si possono a pieno diritto identificare con la figura del prosumer (‘consumer’, ‘consumatore’ e ‘producer’, produttore’, sottinteso di argomentazioni informative). Contemporaneamente ricoprono sia il ruolo di opinion maker, perché sviluppano e diffondono il proprio parere all’interno di un gruppo di interesse, sia quello di opinion leader tramite il potere di convincimento dei loro giudizi sui prodotti, come se i video mettessero in atto una specie di passaparola tra utenti secondo cui un prodotto sarebbe valido o meno. Inoltre tutte le guresse e le appassionate di trucco più accreditate, proprio in virtù della preminenza riconosciuta dai fan, sono opinion leader nel senso più pieno della locuzione, perché, da una parte, le lezioni online suggeriscono le tendenze del make-up al pubblico di fan che ispirano mescolando sapientemente tecniche, colori e texture, dall’altra, con i video review, orientano gli acquisti di prodotti per il make-up, per corpo e viso e di accessori per la bellezza come beauty-case e valigie/trolley per il make-up, contenitori e cassettiere in cui stipare i trucchi (uno degli oggetti attualmente più desiderati è la cassettiera MALM di IKEA).

Prosumer, opinion maker ed eventualmente opinion leader sono ruoli che gli utenti del Web 2.0 impersonificano grazie a social network, blog, forum, tutti quegli spazi in cui è possibile condividere informazioni online insomma, emettendo messaggi inediti e non convenzionali e che raggiungono un’ampia audience, spontaneamente segmentata in target, assai interessata a un preciso ventaglio di contenuti e, com’è il caso del mondo della cosmesi, di prodotti.

Oltre a ciò, guresse e patite del make-up esplicano altresì attività connesse alla brand image perché, a seguito delle campagne pubblicitarie delle case cosmetiche per promuovere nuove collezioni per il maquillage e linee per la cura di viso e corpo, in qualità di consumatrici esprimono l’idea che si fanno di un prodotto.

Tante aziende cosmetiche invitano le guresse a fare recensioni di prodotti, che inviano loro gratuitamente, e a servirsene nei tutorial. In tutta risposta, solitamente le guresse dichiarano di volere manifestare l’opinione più sincera, anche se negativa, perché affermare che un prodotto è valido (es. ha lunga durata una volta applicato, ha una buona tenuta, è estremamente pigmentato e scrivente, il sistema di erogazione è ottimale, ecc.) quando ciò non corrisponde a verità danneggerebbe la reputazione e la credibilità, con conseguente, potenziale perdita di iscritti al canale YouTube.

Non potremo mai sapere se una guressa ha ceduto o cederà a eventuali lusinghe pecuniarie da parte dei committenti. Sta di fatto che alcune case cosmetiche cedono di fronte a tali condizioni ma altre no, perché il giudizio di una consumatrice di eccezione (e i pareri di più consumatrici in risposta al video review) sono assai preziosi per migliorare i prodotti. Sono aziende che hanno compreso l’importanza della valorizzazione dell’attività dei prosumer per offrire al target ciò che desidera, andare incontro alle aspettative e soddisfare i bisogni in ottica outside-in (o pull, per “capire il mercato” secondo una prospettiva proattiva anziché push e “spingere sul mercato”) del consumatore, sempre più informato e consapevole grazie al flusso di informazioni mediante il web.

È pur vero che online le cosiddette ‘bufale’ si diffondono con una certa facilità.
È di questi giorni l’articolo “Leggende metropolitane sui cosmetici: ecco come nascono in rete” in Corriere.it. Alcune tra le più celebri leggende metropolitane sono prese in esame da Il Disinformatico di Paolo Attivissimo, come per esempio “Antibufala: allarme per il piombo nei rossetti”, ma esistono strumenti che accrescono la cognizione dei consumatori più attenti. Tra questi CosIng (Cosmetic Ingredients & Substances; database stabilito dalla Commissione Europea con informazioni sugli ingredienti contenuti nei prodotti cosmetici); Skin Deep (guida ai cosmetici e ai prodotti per l’igiene personale redatta dai ricercatori dell’Environmental Working Group. Il database contiene tutte le sostanze impiegate dalla cosmesi e, a ciascuna sostanza, è attribuito un punteggio variabile sulla base del grado di sicurezza per l’organismo); FDA Cosmetics (“Food and Drug Administration”, “Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali”, ente governativo statunitense del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti che si dedica alla regolamentazione dei prodotti per tutelare la salute dei cittadini americani); “Sostanze non ammesse o limitate” del Ministero della Salute italiano, con elenchi, pubblicati in allegato alla Legge 713/86, resi disponibili nella versione costantemente aggiornata e corredata di note esplicative (peccato che l’ultimo aggiornamento risalga però al giugno 2008); Biodizionario (portale moderato dal chimico industriale e consulente Ecolabel Fabrizio Zago e rivolto al consumo consapevole dei prodotti cosmetici, con stime dell’affidabilità delle singole sostanze adottate dalle aziende cosmetiche. Il sito è particolarmente utile a chi desidera curare viso e corpo con prodotti eco-bio e desidera evitare siliconi, derivati del petrolio o determinati composti chimici a cui si è allergici) e siti a questo analoghi, come Sai cosa ti spalmi?, i forum Promiseland (sezione BioDizionario: Cosmetici e prodotti biodegradabili, moderato da Zago di Biodizionario) e L’angolo di Lola.

Parecchie case cosmetiche stanno beneficiando del fenomeno a cui guresse e appassionate del make-up e dei prodotti per la cura del viso e del corpo, tanto premium brand quanto economy brand, hanno dato vita. Tra queste M∙A∙C, Make Up For Ever, Benefit, Illamasqua, Urban Decay, bareMinerals, Dior, Chanel, Shiseido, Yves Saint Laurent, Lancôme, Elizabeth Arden, Estée Lauder, Clinique, Helena Rubinstein, Guerlain, Revlon, L’Oréal, Smashbox, NYX, O∙P∙I, Essence, Sephora, Too Faced, wet N wild, Maybelline, Rimmel, e.l.f., Zoeva, Yves Rocher, Dr. Brandt, Avène, Lush, I Coloniali, Vichy, Olaz, Nivea, Garnier e altre.

Non mancano aziende italiane come KIKO, PUPA, TruccoMinerale, Collistar, Deborah, Madina, Bottega Verde, L’Erbolario, Aquolina, Fitocose.

Con conseguenti vantaggi per le case cosmetiche che praticano e-commerce e vendono i prodotti direttamente dal sito corporate; distributori multimarca in franchising come Sephora, Limoni, Douglas, La Gardenia; distributori monomarca come KIKO e Lush; le profumerie, i supermercati, le farmacie, le parafarmacie e persino i venditori eBay italiani e stranieri.

Per quanto riguarda l’Italia, alcune marche non sono distribuite nel nostro Paese, pertanto si scatena la corsa all’acquisto mediante i siti web delle aziende di cosmesi (laddove ovviamente queste abbiano il sistema di e-commerce attivo e prevedano la spedizione in Italia); si chiede a parenti e amici che hanno programmato un viaggio in un Paese dove una determinata marca è diffusa sul mercato di comprare i prodotti, fornendo loro la classica “lista della spesa”; si fanno ricerche su eBay per trovare venditori che mercanteggino i prodotti tanto agognati.

Talvolta le stesse guresse, le aspiranti guresse e le utenti senza tale velleità sono vere e proprie shopaholic, maniache degli acquisti colpite dalla sindrome da acquisto compulsivo (o shopping compulsivo). Una consumopatia che ha derivazioni indotte sia dalla società  contemporanea sia dai media e i new media. Ovunque le aziende diffondono l’atteggiamento consumistico e la tendenza a incentivare il comportamento d’acquisto, favorendo falsi bisogni che trasfigurano il possesso del prodotto in fonte di felicità personale e di costruzione dell’identità sociale. Inoltre, attraverso il compulsive buying, la psiche di alcuni soggetti li fa illudere di avere necessità – più o meno cosciente – di costruire dall’esterno l’identità personale mediante la proprietà di oggetti specifici con presunte qualità positive e vincenti. I prodotti per la bellezza possiedono le qualità appena descritte, oltre ad avere connotazioni simboliche che soddisfano il cosiddetto comportamento compensatorio, cioè una reazione compiuta per avversare malumore, stress, tensioni psicofisiche, frustrazioni, insicurezze, paure. Come una sorta di catarsi che, passando per il rito dello shopping e del possesso (superfluo) dell’oggetto, fosse magicamente in grado di riempire vuoti di ben altra natura. Senza avere la pretesa di fare un’analisi psicologica delle utenti con la passione per il make-up e la cura di viso e corpo, si vedano video haul e video review di alcune iscritte a YouTube per capire con quanto trasporto emotivo alcune parlano dei prodotti cosmetici acquistati (due esempi su tutti: “Acquisti KIKO col mio Boyfriend, Swatches dei Colour Sphere, Mono e Matite” e “I miei prodotti KIKO preferiti + Cell. nuovo”. Tra le altre, vaxl2007, KissAndMakeup01, carlitadolce, giorgiapril, Lalla88morea).

Si scopre quindi che YouTube è in grado di scatenare persino atteggiamenti di eccessoressia e di oniomania parziali, denominazioni di fenomeni che descrivono la tendenza morbosa a comprare, perché non si può giustificare altrimenti l’attitudine ad acquistare, da parte di alcune, tutti i prodotti di un’intera collezione di make-up ogniqualvolta le case cosmetiche ne immettono di nuove sul mercato. E non è per caso ciò che le aziende di cosmesi (e non solo di cosmesi) desiderano?

Questa lunga disamina del fenomeno delle guresse e delle appassionate di make-up e cura di viso e corpo (attenzione: la grandezza del fenomeno non si limita soltanto agli utenti che postano i video ma si estende anche a quelli che ne usufruiscono in qualità di utenti passivi, con o senza account YouTube) è servita per eviscerare le proprietà del fenomeno in sé. Ma, ora, andiamo oltre.

Come sempre accade quando, all’interno di una comunità con un sovrascopo comune (es. YouTube è la community in cui l’insieme degli utenti prende parte caricando video e/o guardando video di terzi), una quantità copiosa di persone ha un interesse specifico e partecipato (es. YouTube annovera utenti attratti dai prodotti di maquillage e per la cura del viso e del corpo), spontaneamente questa forma un sottoinsieme. Dentro la community, quindi, guresse & Co. costituiscono una sottocommunity. Non è necessaria alcuna strategia peculiare di marketing per suddividere i potenziali clienti in gruppi caratterizzati da bisogni omogenei poiché il campione rappresentativo di un segmento è già precostituito (teenager e donne dai 14 ai 39 anni).

Riprendendo ciò che è stato scritto all’inizio, guresse e appassionate di maquillage e cura di viso e corpo “non sono esperte […] di pratiche innovative di web marketing”, tuttavia il fenomeno che hanno generato ben si presta alla lettura secondo prospettive di marketing e reti sociali.

Il segmento estrapolato da YouTube è assoggettabile all’enterperience (termine formato da ‘entertainment’/’entertaining’ e ‘experience’): il trucco femminile, che ha origini antiche che si perdono nella notte dei tempi, nelle diverse epoche è stato oggetto di evoluzioni fino ai giorni nostri. Rito, consuetudine, abitudine, divertissement sono sostantivi associabili alla pratica del make-up che, parallelamente, equivale alla pervasività del coinvolgimento scaturente dalla sperimentazione personale mediata dai sensi, tanto che il soggetto coinvolto diviene oggetto della sua stessa sperimentazione esperienziale.

Le aziende del settore cosmetico ed estetico più lungimiranti (e, mutatis mutandis, la stessa operazione è effettuabile dalle aziende che si occupano di altri settori di mercato, come hi-tech, moda, fitness, wellness, mondo mamma-bambino, cura e alimentazione di animali domestici, turismo, ecc.) possono facilmente dedurre le strategie di marketing più appropriate per fare web marketing non convenzionale servendosi dei social network per le campagne di social media marketing.

Ciò che è singolare è che gli utenti-consumatori non si rapportano direttamente all’azienda e alle sue promesse pubblicitarie esplicite, ma approdano all’azienda, e quindi ai suoi prodotti, in maniera indiretta e mediata.

È fondamentale sottolineare che il social media marketing più efficace e senza dispersione di costi ed energie non implica la partecipazione indistinta nella totalità dei social network con il maggiore numero di iscritti in un determinato Paese. Ogni social network possiede attributi tali da essere più o meno confacente a particolari strategie e al pubblico di riferimento.

Immettendo nel circuito YouTube, Facebook, Twitter, MySpace, Flickr e/o in altri social network, e poi in siti web, blog, forum ed eventualmente social network creati ad hoc, personaggi chiave del tutto confondibili con la “persona comune” (come “la ragazza della porta accanto” o “l’uomo della strada”) ai quali fornire i prodotti dell’azienda (di cui non si deve assolutamente parlare sempre bene) e quelli di aziende competitor (di cui non si deve assolutamente parlare sempre male), si possono creare sia gruppi sia nicchie interessati a una o più gamme di prodotto. Per mezzo di questi interventi si aumenta il volume delle conversazioni su un dato prodotto, si incrementa la notorietà e la reputazione positiva della marca.

In questo modo, e in un sol colpo, si combinano strategie di:

  • marketing tribale (tribal marketing). Mediante (sotto)comunità già esistenti o nuove, si dà vita al sentimento comunitario degli utenti-consumatori, bisognosi di ristabilire un legame sociale comunitario e che quindi si confrontano e condividono informazioni ed esperienze one-to-one (utente che posta video e che interagisce nei propri spazi dei social network e utente fan che vede video e semmai ne carica di propri, legge post, lascia commenti, risponde ai commenti altrui) e allo stesso tempo one-to-many (utente che interagisce con più fan contemporaneamente);
  • marketing virale (viral marketing). Gli utenti leader trasmettono messaggi a un numero considerevole di utenti finali secondo l’andamento, tanto veloce quanto esponenziale, del passaparola. Gli utenti informati, a loro volta, suggeriscono alla loro cerchia di relazioni amicali e familiari (diversificandoli per interessi, quindi preselezionandoli rispetto a tematiche e a categorie di prodotto) la conoscenza dell’idea;
  • buzz marketing. Da alcune scuole di pensiero sovrapponibile al viral marketing perché correlato al passaparola;
  • marketing relazionale. Una volta che l’utente è diventato cliente, la relazione si valorizza tramite la sua fidelizzazione al brand, che consente peraltro l’analisi delle informazioni via web (e non) dell’acquirente;
  • marketing esperienziale indiretto. L’accostamento tra ‘indiretto’ e ‘marketing esperienziale’ è dovuto al fatto che nei video review e nei video haul la vera e propria esperienza di entrare in contatto con il prodotto è fatta dall’utente che registra e carica il video, il quale trasferisce la propria esperienza all’utente che guarda il video. Il quale, a sua volta, vive indirettamente le percezioni trasmessegli grazie alla visualizzazione del packaging e delle caratteristiche del prodotto di make-up o per la cura del viso e del corpo, come consistenza, profumazione, persino gusto nel caso di gloss e rossetti. Sono così innescate sensazioni che, in maniera riflessa, coinvolgono rispettivamente la vista, il tatto, l’olfatto e il gusto. Oltre alla stimolazione dei sensi, si colpisce fortemente la sfera emozionale e immaginifica dell’utente finale, ancora più conquistato dal senso di possesso del prodotto (naturalmente se il giudizio è positivo) quando questo è adoperato per i video tutorial, in cui l’esperienza dell’uso del prodotto si attua nella sua forma più piena e si completa.

Per conseguire vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti, per comunicare con estrema naturalezza con il segmento di target che si desidera raggiungere e attrarre, per una serie di altre variabili complesse quanto delicate, è fondamentale attuare campagne di social media marketing assegnandole a risorse umane molto preparate, perché l’improvvisazione in questi casi non giova e, anzi, è una minaccia che può ritorcersi gravemente e irrimediabilmente contro l’azienda, la marca e il brand: provate a pensare cosa accadrebbe se gli utenti finali avessero il sospetto che i video di una guressa o di un’appassionata di make-up e di prodotti per viso e corpo fossero manovrati da un’azienda (esistono casi d’eccezione, come quello di Michelle Phan, la quale però dichiara esplicitamente di essere divenuta portavoce e tutorialist di Lancôme. Stesso discorso per ClioMakeUp, tutorialist di PUPA).

Come abbiamo già scritto in uno dei nostri “suggerimenti”, “assegnare il lavoro di gestione del social media marketing a una risorsa poco competente, inesperta o addirittura a uno stagista è come affidare una Ferrari a un neopatentato e pretendere che vinca un Gran Premio di F1”.

Nel caso in cui non si disponga né si voglia assumere personale specializzato in social media marketing, è bene rivolgersi a consulenti e ad agenzie in outsourcing, che vi prospetteranno bozze di strategie e preventivi, evidenziando come una campagna di social media marketing abbia un rapporto costo-beneficio di gran lunga più vantaggioso rispetto a strategie di marketing e di pubblicità tradizionali.

Quando si parla di social media marketing e Web 2.0 in generale, non tutte le aziende hanno ben chiaro di cosa si tratta. Non rinunciate a comprendere e approfondire perché equivale a rifiutare a priori nuove e importanti opportunità per il business.

••● ☆ SUGGERIMENTO #15 ☆ ●•• WEB 2.0 E IMPRENDITORI: COME CAPIRE CHE COS’È E A COSA SERVE SE NON È ANCORA DEL TUTTO CHIARO

Web 2.0: se ne parla molto ma non tutti gli imprenditori hanno ben chiaro di cosa si tratta e, spesso, leggere materiale informativo, senza esempi pratici, non è d’aiuto.
Se non vi sono chiari alcuni concetti, non rinunciate a comprendere perché significa vanificare un’eventuale opportunità per il business. Contattate piuttosto diverse agenzie di comunicazione e web marketing e chiedete un appuntamento telefonico o in presenza presso la vostra azienda. Stabilire un contatto non costa nulla e non comporta alcun impegno.

:: WEB 2.0 E GURU: CAPACITÀ, CREDIBILITÀ, COMPETENZA

«Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto!». Una frase che è entrata a buon diritto nella storia del cinema, pronunciata dapprima da Gian Maria Volontè (che impersonifica Ramón Rojo) e, dopo poche battute, anche da Clint Eastwood (nei panni di Joe) nel celeberrimo film “Per un pugno di dollari” (1964) di Sergio Leone.

Ottimo spunto – semiserio – per una riflessione.

Il Web 2.0 consente a qualsiasi utente di esprimere in modo ampio le sue idee, consentendo anche di diffonderle in modo rapido e di ottenere un’audience consistente.

Vanagloriosi, egocentrici, presuntuosi e “venditori di fumo” trovano facilmente terreno fertile per promuoversi come esperti nelle materie più disparate. Inizialmente possono anche riscuotere dei consensi, ma per sua stessa natura il Web 2.0 conduce dagli altari alla polvere in un baleno: più un certo contenuto – o una serie di contenuti su una determinata tematica – iniziano a circolare, più è facile incontrare lettori che possono metterne in discussione ogni affermazione, soprattutto se gli argomenti proposti non sono propriamente ferrei e ben circostanziati. In questi casi si verifica spesso che un sedicente guru diventi rapidamente uno zimbello del web e, oltre a perdere ogni credibilità, divenga il simbolo stesso dell’incompetenza.

Proporre contenuti sul web significa sempre e comunque esporsi al giudizio degli utenti, quindi occorre prestare grande attenzione a come si comunica e soprattutto al valore di ciò che si ha da dire. Come incoraggiamento a chi non rinuncia ad esprimersi va detto anche che non esiste un autentico esperto di una materia che non abbia mai subito attacchi. In questi casi il vero esperto sa rispondere con intelligenza ai commenti ricevuti, senza prestare il fianco a sterili provocazioni. Questo è il modo migliore per permettere al lettore di rendersi conto di chi ha più preparazione ed esperienza, o quanto meno di rilevare che entrambi gli interlocutori hanno ragioni forti, anche se di segno opposto.

Se le argomentazioni sono scarse – o addirittura risibili – e la capacità di sostenerle è altrettanto vacillante, prima o poi capiterà di incontrare qualcuno che è in grado di dimostrare l’incompetenza di chi scrive (es. sul blog, sul corporate blog o nei vari social network), registra podcast o si mostra in video, pregiudicandone l’attendibilità in modo spesso irreversibile. Insomma, se si va in giro per il web armati soltanto di una pistola, prima o poi chi dispone di un fucile inizierà a sparare. E in questo caso la morte di quello con la pistola significa semplicemente che chi non ha buoni argomenti viene rapidamente smascherato.

Ragione in più per convincere chi vuole comunicare l’azienda sul web e fare marketing efficace a non improvvisare: il rischio di boomerang pericolosi per il business è alto. Di contro, se riuscite a imbracciare il fucile per la vostra azienda, i risultati possono essere straordinari: rapidamente potrete fare fuori ogni dubbio sulla qualità dei vostri prodotti o servizi, creando uno stuolo di sostenitori di ciò che avete da offrire e dando una marcia in più alla vostra presenza sul mercato.

:: RESOCONTO DELL’OPEN DAY #03: “AUMENTARE LE VENDITE CON INTERNET E IL WEB: COSA FARE E QUALI STRUMENTI UTILIZZARE?” (9 e 10 GIUGNO 2010)

Tutte le imprese, oggi, danno per scontato che l’utilizzo di Internet e del web è indispensabile per migliorare la performance e il business aziendale sul mercato. Il problema è che manca la chiarezza di idee in merito alla scelta delle azioni e degli strumenti da impiegare per ottenere risultati significativi nel marketing e nelle vendite.

Nei numerosi incontri del terzo OPEN DAY, dedicato proprio alle attività pratiche che possono essere effettuate per ottenere un apprezzabile incremento delle vendite e della presenza sul mercato, è emerso come l’idea di web marketing prevalente sia legata a un modello precedente al 2000. In sostanza, larga parte dei responsabili aziendali incontrati ritiene che il semplice sito web sia già in parte sufficiente a porre un’azienda in una posizione privilegiata nello sfruttamento delle opportunità di Internet. Per quanto concerne le azioni da svolgere per guadagnare una migliore visibilità, si punta soprattutto al posizionamento sui motori di ricerca (attività SEO), ma senza avere una buona consapevolezza di come raggiungere il migliore risultato. Per quanto riguarda le campagne di web marketing, prevale la classica logica del banner tradizionale (o eventualmente con creatività arricchita) da collocare su siti o portali. Minore sembra essere la fiducia verso le soluzioni di advertising proposte da Google, come AdSense e AdWords, il cui funzionamento non è risultato quasi mai chiaro. Il DEM (Direct Email Marketing), con la variante delle newsletter, è un altro modello di comunicazione di marketing apprezzato, anche perché riproduce il modello tradizionale dell’invio di opuscoli e materiali informativi direttamente al destinatario dell’azione pubblicitaria.

È risultata mediamente scarsa la conoscenza del social media marketing e in generale del marketing nel Web 2.0, quasi sempre identificato con il solo Facebook tra tutti i social network. La tendenza a credere che il social media marketing si riduca a creare una pagina (“Fan Page”) su Facebook da aggiornare di tanto in tanto è abbastanza diffusa.

Gli incontri hanno presentato ai partecipanti una panoramica sulle principali opportunità offerte oggi da Internet al marketing, con un’analisi dei benefici apportati da ciascuna soluzione. Le perplessità emerse rimangono legate, soprattutto, all’aspetto operativo: quasi sempre le aziende piccole e medie non dispongono di risorse umane da formare o di personale specializzato al quale demandare la gestione della comunicazione di marketing non direttamente orientata all’azione di vendita.

La decisione di demandare ad agenzie specializzate il lavoro di pianificazione e di esecuzione delle attività di web marketing sembra essere quindi vincolata a due fattori chiave: la comprensione precisa dei benefici, che tuttora rimane abbastanza opaca, e il fattore costo. Quest’ultimo rimane il più grosso problema, dal momento che il marketing su Internet resta confinato ancora in una dimensione di nicchia e, anche nei casi in cui l’impresa disponga di un solido impianto di e-commerce, il management ritiene quasi sempre che questo possa bastare così com’è e che non occorrano ulteriori investimenti di comunicazione e marketing. Costruire pacchetti e soluzioni di web marketing capaci di garantire buoni risultati a costo contenuto può rappresentare allora la chiave di volta per portare le aziende piccole e medie a migliorare la qualità e l’efficacia del loro Internet marketing.

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Prossimo appuntamento online gratuito per aziende, private e pubbliche, e professionisti dei settori comunicazione e marketing ->
OPEN DAY #04: “Enterprise 2.0: il Web 2.0 e l’impresa. Gli strumenti attuali di Internet al servizio dell’azienda?” (mercoledì 23 giugno 2010).

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OPEN DAYS DI COMMUNICATION VILLAGE

Communication Village apre le porte a tutte le aziende, private e pubbliche, e ai professionisti dei settori comunicazione e marketing.
Dal 26 maggio al 30 giugno 2010, tutti i mercoledì (tranne mercoledì 2 giugno, con posticipazione a giovedì 3 giugno) dalle 10 alle 19.

:: OPEN DAY #03 – AUMENTARE LE VENDITE CON INTERNET E IL WEB: COSA FARE E QUALI STRUMENTI UTILIZZARE?

Open Day #03 di Communication Village

Mercoledì 9 giugno 2010 (ore 10-19)

AUMENTARE LE VENDITE CON INTERNET E IL WEB:
COSA FARE E QUALI STRUMENTI UTILIZZARE?

Un percorso sintetico ed esaustivo per comprendere quali sono gli strumenti che favoriscono il marketing e la vendita online di prodotti e servizi: quali vantaggi arrecano in termini di efficienza e produttività al marketing dell’impresa di e-commerce di prodotti e/o di servizi, sfruttando al meglio il web e aumentando gli utili aziendali, le vendite, i clienti (B2C) e i fornitori/partner (B2B). Perfezionare gli strumenti di sostegno alla vendita e alla customer satisfaction o crearne di nuovi significa aprire nuovi mercati e dare nuova vitalità a quelli esistenti, accrescere la visibilità dell’azienda e dei suoi prodotti o servizi sul mercato, conoscere e applicare nuovi modelli di business. E tutto questo si traduce in un aumento degli utili e del fatturato.

L’incontro online gratuito, svolto in audioconferenza o videoconferenza via Skype (account: communication_village), ha lo scopo di spiegare sinteticamente tutto ciò che occorre conoscere per sfruttare al meglio Internet per incrementare le vendite e migliorare il marketing e la comunicazione aziendale.

Specificamente:

  • quali sono le caratteristiche e le potenzialità del web e dei servizi online attuali? Differenza tra le evoluzioni del mercato, tra gli strumenti di vendita in epoca Web 1.0 e Web 2.0, tra il marketing tradizionale e il marketing non convenzionale (nella fattispecie marketing virale o buzz marketing e marketing tribale o community marketing);
  • quali sono, oggi, gli strumenti da adottare per migliorare la gestione della propria attività di comunicazione, il marketing e la vendita su Internet per l’Enterprise 2.0?
  • a che cosa serve aggiornare, migliorare e riqualificare il marketing e la comunicazione aziendale?
  • serve perfezionare il proprio sito web in termini di qualità estetica e usabilità?
  • quali caratteristiche deve avere la piattaforma e-commerce per portare il cliente a completare l’acquisto online?
  • quali benefici portano gli strumenti di vendita online al marketing dell’azienda e alla comunicazione d’impresa?
  • esistono svantaggi (es. e-mail commerciali percepite e/o trattate come spam, newsletter senza potere attrattivo, ecc.) nell’impiego di strumenti di vendita online al fine di incrementare il volume di affari, cercare e trovare nuovi clienti ed eventualmente nuovi fornitori/partner?
  • come presentare i prodotti e/o i servizi sul sito di e-commerce in modo da indurre all’acquisto?
  • quali caratteristiche devono avere le azioni svolte mediante gli strumenti di vendita online per essere efficaci?
  • quali contenuti, in termini di attualità e aggiornamento, originalità, chiarezza e completezza, si possono trasmettere grazie agli strumenti di vendita online?
  • come si possono utilizzare gli strumenti di vendita online per la promozione di prodotti e servizi?
  • come si possono impiegare gli strumenti di vendita online per aumentare la notorietà dell’azienda?
  • come possono gli strumenti di vendita online favorire la fidelizzazione di clienti e/o partner e attirare potenziali clienti e/o fornitori/partner?
  • in ottica SEO, quanto giovano gli strumenti di vendita online alla visibilità e all’indicizzazione nei motori di ricerca?
  • il corretto impiego dei strumenti di vendita online concorrono a formare e a consolidare la reputazione sul web?
  • come leggere e usare le statistiche del sito per generare tattiche di marketing e commerciali?
  • come trasformare i clienti, mediante le loro opinioni, i loro commenti e i loro feedback, in sostenitori dell’azienda e dei prodotti/servizi offerti attraverso il proprio sito di e-commerce?
  • quanto costano i diversi strumenti di vendita online?
  • quali risorse umane e quali competenze interne all’azienda sono necessarie per gestire gli strumenti di vendita online?
  • quanto costa e che benefici porta sostenere la vendita online avvalendosi di un’agenzia di marketing e comunicazione aziendale esterna?

Per soddisfare in modo esaustivo le richieste, consigliamo di prenotare l’orario desiderato entro martedì 8 giugno 2010 (da scegliere tra le ore 10 e le ore 19 di mercoledì 9 giugno 2010, salvo fasce orarie già prenotate) in cui desiderate essere contattati: è sufficiente chiamare il numero 0382.554425, inviare un’e-mail all’indirizzo info@communicationvillage.com oppure contattarci direttamente via Skype (account: communication_village).

L’incontro, svolto in sessione one-to-one, ha la durata complessiva di un’ora e si terrà via Skype per consentire di limitare le spese logistiche che gli spostamenti comportano senza compromettere la qualità dell’esposizione dei contenuti e il dialogo.
A ciascuna sessione partecipa una singola azienda o un singolo professionista.
L’incontro è interamente gratuito.

Aumentare le vendite con Internet e il web: cosa fare e quali strumenti utilizzare

OPEN DAYS DI COMMUNICATION VILLAGE

Communication Village apre le porte a tutte le aziende, private e pubbliche, e ai professionisti dei settori comunicazione e marketing.
Dal 26 maggio al 23 giugno 2010, tutti i mercoledì (tranne mercoledì 2 giugno, con posticipazione a giovedì 3 giugno) dalle 10 alle 19.

Web 2.0, mondi virtuali come Second Life e comunicazione partecipativa: come la Generazione V sta cambiando l’universo dei media.

Il modo in cui le nuove tecnologie informatiche e telematiche stiano modificando la comunicazione e i mercati è uno degli argomenti su cui si sta appuntando lo studio degli analisti.

La comunicazione tradizionale, a senso unico, in cui si distingue da un lato chi ha il potere di controllo dei media e dall’altro chi ne subisce più o meno passivamente l’influenza, sta progressivamente cedendo il posto a un modello in cui il flusso della comunicazione ha piuttosto l’aspetto di una nebulosa, di una rete di contatti in cui esistono dei nodi più rilevanti di altri ma in cui ciascun attore può avere un ruolo attivo e robusto.

Il cambiamento sempre più marcato introdotto dal Web 2.0 è proprio nel fornire agli utenti del Web la possibilità di essere editori di sé stessi e di porre i propri contenuti allo stesso livello di quelli dei media tradizionali – almeno sul piano della fruibilità. Chiunque, senza bisogno di fare corposi investimenti economici e senza avere competenze tecnologiche di alto livello, può costruire uno spazio personale che ha a priori tutte le potenzialità per guadagnare una notorietà comparabile a quella di qualsiasi sito web gestito da aziende editoriali. Tutto sta nell’introdurre i contenuti giusti e nel lavorare sulla rete dei contatti personali.

Per le aziende che fanno comunicazione questo significa necessariamente cambiare prospettiva: la pubblicità, la comunicazione d’impresa in generale, non potrà più essere concepita sulla base di una veicolazione di messaggi impressivi capaci di colpire l’audience, ma diventerà sempre più solo una prima ruota da far girare per mettere in movimento a cascata tutta una serie di altri ingranaggi costituiti dai contributi personali del pubblico pronto a far propri i contenuti più interessanti nel modo che ritiene più opportuno.

Insomma, le aziende dovranno confrontarsi con quella che sempre più spesso è denominata “Generazione Virtuale”, o più semplicemente “Generazione V”. La Generazione V è quella che, per la prima volta nella storia dell’umanità, non si limita a fruire i media, ma li usa per veicolare la propria personale visione del mondo e il proprio universo individuale e sociale. Non li subisce, ma li adopera con un ruolo di editore, di regista o anche soltanto di attore.

In questa prospettiva, a breve la maggior parte delle transazioni rivolte ai consumatori finali inizierà a svolgersi on line e, come osserva l’analista di Gartner Inc. Adam Sarner su Forbes, «entro 10 anni la più forte influenza su tutti i processi di acquisto sarà l’esperienza virtuale correlata e perciò la maggior parte del denaro verrà spesa facendo marketing e vendendo a persone virtuali on line piuttosto che a persone in carne ed ossa fuori da Internet».

Le persone virtuali però solo di rado coincideranno per tratti anagrafici e identificativi con le persone fisiche reali a cui sono associate. In realtà l’anonimato sarà sempre più frequente e i tratti che ciascun utente mostrerà saranno sempre più slegati dalle caratteristiche socio-demografiche tradizionali, come l’età, il sesso e la collocazione geografica. I tratti più importanti diventeranno i gusti personali, il comportamento in rete e il modo in cui ciascuna persona si rappresenta nell’universo virtuale del Web avanzato.

Mentre l’approccio di marketing tradizionale «si è focalizzato sull’identificazione del cliente finalizzata alla realizzazione di campagne di marketing one-to-one, di azioni di cross-selling e così via» prosegue Sarner, «la realtà della Generazione V si baserà sull’utilizzo di personalità virtuali multiple (per esempio recensore su Amazon, venditore su eBay, avatar in Second Life o in World of Warcraft, autore di un blog, uploader di video su YouTube) e sul potere straordinario della loro influenza crescente, e tutto questo significa che i clienti avranno un esercito di personalità on line che orienterà in modo determinante le relazioni di business».

Quello che a questo punto diventerà fondamentale – e lo è già adesso – sarà cercare di intendere sempre più a fondo gli aspetti psicologici dell’attività delle persone on line, piuttosto che cercare ancora di evidenziarne le caratteristiche socio-demografiche. Quello che conta in un contesto del genere sono gli interessi personali, l’attitudine a muoversi da un ambiente on line all’altro, il tipo di attività svolte, il tipo di personalità che viene messa in campo quando si è del tutto liberi da coercizioni e maschere derivanti dalla compagine reale in cui ci si trova a operare.

Molto importante è anche la tendenza della Generazione V a quello che Sarner chiama “il valore della collaborazione”, ossia il dare maggiore importanza alla relazione, al noi, piuttosto che all’individualità, al me. Più qualcosa è condiviso, riceve pareri e valutazioni, più acquista valore e diventa importante. Uno degli scopi della comunicazione aziendale dell’immediato futuro sarà allora quello di generare interesse, piuttosto che approvazione. Produrre contenuti notevoli e rilevanti, piuttosto che approvabili. Non si deve più puntare a contenuti e messaggi che generino identificazione, quanto a creare stimoli che producano semplicemente azioni.

Nell’agone della comunicazione partecipativa rivolta alla Generazione V, vincerà chi saprà generare raffiche potenti di nuovi contenuti prodotti dai destinatari attivi del messaggio originario, mentre sarà estromesso dal mercato chi ancora cercherà di ignorare che il destinatario della comunicazione è egli stesso produttore di contenuti in un ambiente peer-to-peer.

Aziende e business in Second Life: per il Los Angeles Times è uno strumento perfetto per i meeting e per il B2B.

Il tema delle aziende e del business in Second Life è iniziato a diventare cronaca di insuccessi intorno alla fine dell’estate 2007, quando il Los Angeles Times ha pubblicato un articolo in cui Alana Semuels enumerava una serie di ragioni con cui era argomentato il presunto insuccesso subito da una quantità di aziende che avevano avviato delle attività nel mondo virtuale 3d.

Benché la maggior parte di queste – prime tra tutte Sun Microsystems e Starwood – avessero prontamente smentito quanto scritto dalla giornalista, questo articolo ha dato il via a una diffusione virale di opinioni contro Second Life che hanno iniziato a invadere la maggior parte dei media del mondo, in modo acritico e quasi sempre senza delle vere argomentazioni fondate.

Nell’intervallo di tempo trascorso la Semuels non si è però limitata a ignorare Second Life, ma ha continuato a tenere sotto controllo stretto tutte le attività che hanno continuato a svilupparsi indipendentemente dalla copertura dei media. In questo modo ha rilevato che aziende di grandi dimensioni come Sun, IBM, Intel, Implenia e altre ancora stanno ottenendo sempre più grandi benefici da un impiego di Second Life come strumento di lavoro per il B2B e per la comunicazione interna. Il mondo virtuale è diventato un mezzo utile per la formazione e il training dei lavoratori, creare meeting, fare conferenze stampa, effettuare simulazioni avanzate.

Le sue osservazioni recenti, raccolte in un nuovo articolo pubblicato il 10 maggio sul Los Angeles Times, tracciano un quadro ben diverso su Second Life e sui mondi virtuali in relazione ai benefici che ne possono ricavare le imprese. Ne proponiamo qui la traduzione integrale.

Una seconda vita per l’America delle grandi aziende

Per risparmiare denaro in questi tempi difficili le università, i pianificatori di conferenze e le aziende con filiali in tutto il mondo hanno iniziato a tenere incontri nel mondo virtuale di Second Life per i dipendenti che si trovano che lavorano a distanza e gli studenti.

Sun Microsystem Inc., grande azienda tecnologica della Silicon Valley, ha un’unica regola: gli impiegati devono mostrarsi con avatar dalle apparenze umane.

Altre aziende non sembrano preoccuparsi se i loro dipendenti assumono la forma di animali o altre entità mentre sono all’appuntamento.
In un incontro pomeridiano recente in Second Life, circa 20 avatar – le figure personalizzate che ogni abitante del mondo virtuale adotta – si sono riuniti per una conferenza sullo sviluppo dei software sponsorizzata da Intel Corp. Il gigante dei semiconduttori ha pianificato l’evento per stimolare un confronto su tematiche tecniche di una certa complessità tra dipendenti dell’azienda e altri interlocutori in tutto il mondo.

L’impiegato Intel che ha aperto l’evento era un personaggio in smoking con le fattezze per metà di uomo e per metà di lince. Questi ha rivolto la parola a un avatar che si chiamava Zombie Bob che indossava una camicia bianca attillata. Tra i presenti, una donna con una coda di cavallo e degli occhiali da sole in prima fila risultava inattiva, poi c’era un tipo con la pelle blu con capelli aguzzi estremamente attento e un’altra figura, vestita in jeans e T-shirt, che stava in piedi in fondo alla sala con le braccia aperte come se la stessero crocifiggendo.

Nel frattempo, un uomo che indossava uno zainetto con dei razzi propulsori si proiettava rapidamente dentro e fuori dalla stanza.

L’America delle grandi aziende sta ancora imparando a usare Second Life, dove ci si deve aspettare una grande creatività individuale. Dacché Linden Lab, una società di San Francisco, ha aperto la comunità on line al pubblico nel 2003, questa si è rivelata un posto eclettico dove avatar abbigliati in modo eccentrico si incontrano, costruiscono edifici stravaganti, navigano, acquistano merci virtuali e fanno cybersesso.

Dove ci sono persone, lì vuole trovarsi anche chi si occupa di marketing. Due anni fa, compagnie come American Apparel e la divisione calzature di Adidas hanno iniziato a riempire Second Life di negozi e palazzetti. I primi abitanti del mondo virtuale, che disdegnavano aspramente qualsiasi cosa provenisse da un’azienda del mondo reale, si ribellarono lanciando attacchi terroristici e scatenando scontri armati nei negozi. Di fronte a negozi vuoti e al rischio di cadere nel ridicolo, numerose aziende lasciarono Second Life.

Adesso altre aziende stanno aprendo spazi propri in Second Life. Stanno creando isole riservate esclusivamente ai dipendenti e palazzi di uffici, quindi stanno incoraggiando il loro staff a incontrarsi lì. Al confronto con i prezzi di aerei e alberghi, è molto economico: un’isola privata di circa 64.000 metri quadri in Second Life costa 1.000 dollari più una tassa di mantenimento mensile di 295 dollari.

Inoltre, invece di guardare muri bianchi durante le chiamate in conferenza, gli impiegati possono passeggiare per un paradiso virtuale e vedere gli avatar dei colleghi che non hanno mai incontrato.

Sun Microsystems, impegnata sul fronte della produzione di server e software, possiede sette isole in Second Life, due delle quali sono aperte al pubblico. Le restanti sono impiegate per sessioni di formazione e meeting. Durante il suo evento più importante, un meeting aziendale di 12 ore tenuto il mese scorso, 14 dirigenti top che lavorano a Santa Clara, in California, hanno conversato con centinaia di impiegati. Attività come lo sci alpino, le gare automobilistiche, jazz dal vivo e un parco giochi facevano anche parte dell’evento.

A un certo punto, il presidente di Sun Scott McNealy, con indosso una maglia da hockey e in mano una mazza da golf, si è seduto in un auditorium virtuale vicino a Chris Melissinos, il direttore della sezione gaming, che aveva sulle spalle una mascotte dei software Sun (che somigliava a un pinguino).

Centinaia di avatar Sun bighellonavano tra il pubblico, alcuni con indosso scarpe da ginnastica e jeans, altri in abbigliamento da business, facendo domande sui nuovi prodotti, su Second Life e sul posizionamento competitivo di Sun. Migliaia di altri impiegati assistevano agli incontri virtuali su monitor collocati negli uffici di Sun di Santa Clara, New York e Tokyo.

Sun ha deciso di tenere l’evento dopo avere acquisito l’azienda di produzione software MySQL, che tiene traccia dei luoghi in cui vivono i suoi impiegati sparsi in tutto il mondo mettendoli in relazione ai 110 aeroporti presso cui vivono, piuttosto che tenendo conto dei luoghi in cui abitano. Sun era alla ricerca di un modo per presentare gli impiegati MySQL ai loro colleghi in Sun e Second Life è sembrata la soluzione migliore.

«Non importa dove lavori, puoi sempre farti vedere al centro della città» ha detto la portavoce Kathy Engle.

Forrester Research, un’azienda autorevole che studia il settore delle industrie tecnologiche, recentemente ha evidenziato il potenziale per i suoi clienti in un report intitolato “Svolgere attività lavorative reali nei mondi virtuali”.

Il colosso delle costruzioni svizzere Implenia, ad esempio, ha lavorato con IBM Corp. per testare modi per spegnere le luci negli edifici del mondo reale premendo interruttori virtuali in Second Life. L’Università del Maryland ha simulato un’emergenza su un’autostrada e ha fatto agire i partecipanti in un mondo virtuale diverso da Second Life, creato da Forterra Systems Inc. E un’azienda denominata Qwaq ha creato una zona di impianti di trivellazione, raffinerie e uffici per mettere in condizione i professionisti dell’energia di girare tra le loro proprietà e discutere delle possibili riparazioni mentre visionano le attrezzature disponibili.

“I mondi virtuali sono relativamente poco cari, non richiedono un forte investimento in tecnologie infrastrutturali in start-up e possono offrire un approccio immersivo e naturale alla rappresentazione di spazi, persone e oggetti” hanno scritto gli analisti Erica Driver e Paul Jackson di Forrester.

Naturalmente gli imprenditori stanno cercando di avvantaggiarsi al meglio dell’ingresso delle aziende in Second Life. Il mese scorso una compagnia di Dana Point, la Corporate Planners Unlimited, ha aperto uno spazio per conferenze in Second Life, il Virtualis Convention and Learning Center. Qui le aziende possono tenere convegni in una grande sala da ballo durante il giorno e le persone dello staff possono usare le scale mobili per andare in uno yacht privato di notte.

Il fondatore Dan Parks ha dichiarato che Virtualis fornisce uno spazio alle organizzazioni che non hanno denaro o tempo per costruire le proprie isole. Virtualis permette alle aziende di risparmiare migliaia di dollari aiutando le aziende a incontrarsi on line, anziché di persona. In più, i meeting risultano meno monotoni in Second Life.

«Se si vuole che un grande unicorno nero cavalcato dal presidente della compagnia atterri nel centro della scena, si può fare» ha detto.

Il titano dell’hi-tech IBM, che ha circa 387.000 impiegati in 170 paesi, ha iniziato a costruire in Second Life alla fine del 2006. Attualmente, circa 5.000 dipendenti visitano Second Life e altri mondi virtuali per effettuare incontri, addestrare nuovi lavoratori e tenere sessioni di orientamento. In aprile la sede di Armonk, New York, ha dichiarato che sarebbe stata la prima a ospitare regioni private di Second Life sui propri server, il che garantirà maggiore sicurezza e privacy rispetto a quella concessa alle isole sostenute dalle macchine di Linden Lab.

Second Life aiuta IBM a capire come realizzare meeting più efficienti, ha detto Jim Spohrer, il direttore dei servizi di ricerca dell’IBM Almaden Research Center, che spesso utilizza Second Life e altri mondi virtuali.

Se qualcuno va fuori tema durante un meeting, ha detto, i colleghi gli mandano dei messaggi per invitarlo a tornare al punto. Se un avatar diventa inattivo sullo schermo, è un segno che il membro dello staff non è attento. In effetti, significa che l’utente si è allontanato dalla tastiera. I venditori si mettono alla prova in Second Life e vengono registrati per poi essere rivisti e commentati dai colleghi.

Le bizzarrie del mondo virtuale portano anche a creare connessioni sociali che non sono attuabili con le conference call. Per esempio, osserva Spohrer, gli avatar qualche volta portano con sé i loro pet virtuali ai meeting e li usano come argomenti di conversazione o invitano i colleghi alle loro abitazioni in Second Life per mostrare quello che hanno costruito.

Il posto di lavoro virtuale può essere più difficile da controllare di quello reale. Un impiegato maschio di IBM può apparire come un avatar dalle fattezze femminili con i tacchi. Un altro si mostra semplicemente come una nuvola di particelle. Ma il coinvolgimento nello spirito dell’organizzazione aziendale che induce ad agire in modo professionale consente di mantenere la conformità e la correttezza dei comportamenti.

Inizialmente, nota Spohrer, gli impiegati adottavano avatar stravaganti anche per i meeting aziendali. Ma la maggior parte ormai sono diventati più seri.

«Esattamente come la cultura della società nel mondo reale: si evolve» ha detto.

Come altre aziende in Second Life, IBM ha definito delle regole di base. La disposizione per gli impiegati è che se «si imbattono in comportamenti che non sono accettabili all’interno di IBM, devono tenersi a distanza o perfino disconnettersi dal mondo virtuale».

A Intel, negli uffici di Santa Clara, i dirigenti e gli avvocati hanno deciso che se gli impiegati usano “Intel” come nome dell’avatar, viene proibito loro di visitare gli strip club o altri luoghi virtuali di bassa reputazione.

«Se ti trovi lì con un avatar che ha Intel nel nome, hai il dovere di comportarti come se tu stessi rappresentando Intel» ha precisato Paul Steinberg, un ingegnere dell’Intel Software, Network.

Sun prescrive ai dipendenti di vestire i loro avatar in stile business casual per gli eventi aziendali. Ma di notte, Sun gli lascia piena libertà di scelta. Ha creato un locale notturno, Club Java, dove gli impiegati e i sostenitori dell’azienda possono socializzare e ballare. Alcuni indossano tute spaziali o code di gatto.

In un recente party in tema di revival anni ’60, un disc jockey ha messo su “The Lion Sleeps Tonight” e “Another Night Another Dream” mentre gli avatar si dimenavano sulla pista da ballo. Sotto le luci stroboscopiche lampeggianti una biondina con gambe slanciate e stivali bianchi ancheggiava vicino a un uomo in smoking, con il farfallino sciolto.

Il leader dei progetti in Second Life di Sun, Fiona Gallagher, vive in Hampshire, Inghilterra, per cui di rado partecipa a feste con gli impiegati in sede. Ma quando si è seduta al computer durante uno degli ultimi party del Club Java, la Gallagher ha cantato sulla musica trasmessa con un’esuberanza tale da svegliare il marito.

Ha commentato la cosa osservando che questo episodio è una dimostrazione di quanto possono essere percepiti come reali gli eventi in Second Life. «È tutto basato sulla creazione di una community» sostiene la Gallagher. «Eventi come questo tengono unite le persone».

(Alana Semuels – Los Angeles Times)

Introduzione e traduzione a cura di Communication Village.

Business e marketing nei mondi virtuali e in Second Life: il punto di vista di McKinsey e la videogame generation.

Una valutazione sul valore e sulla profittabilità del marketing e di un business nei mondi virtuali e in Second Life è stata recentamente espressa da un consulente senior – che ha preferito rimanere anonimo – di McKinsey & Company, una delle agenzie di consulenza di management più influenti del mondo.

Nella sua analisi riportata da Times On Line, l’agenzia parte dall’osservazione che i suoi clienti «non sono in grado di raggiungere la “videogame generation” nel modo in cui hanno fatto con le audience dei giornali». Altrettanto difficile è per le aziende riuscire a distinguersi nell’universo digitale in un modo ben marcato e individuabile.

La cosiddetta “videogame generation”, ossia quella fascia di popolazione con un’età inferiore ai 30 anni, ha vissuto infatti il proprio rapporto con i media con un’immersione costante nell’interattività. Per i giovani la fruizione di un contenuto proveniente da un dispositivo tecnologico significa immediatamente e univocamente la possibilità di interagire con esso – atteggiamento che si accentua progressivamente man mano che si considerano fasce di popolazione con età via via più ridotte.

Se chi ha più di 35 anni ha dovuto imparare a conquistare la propria capacità di esprimersi attivamente attraverso i media, apprendendo spesso a fatica come compiere delle scelte attive e immettere progressivamente una quantità sempre più ampia di contributi personali nel flusso di contenuti preordinato veicolato dai media, i giovani e i giovanissimi hanno invece da subito sperimentato l’opportunità di disporre del diritto e della capacità di operare scelte e di decidere in piena autonomia cosa fruire e cosa no. In più, per loro la fruizione dei media coincide sempre più con la partecipazione alla creazione dei contenuti in modo diretto – come accade nei videogame, appunto, per cui il divertimento consiste essenzialmente nella capacità di agire, prendere decisioni, compiere delle scelte capaci di condizionare l’intero andamento del flusso dei contenuti – piuttosto che con l’assorbimento passivo di una corrente di informazioni con cui non si può dialogare.
Questa fascia di pubblico è sempre più indifferente – se non addirittura riluttante – a subire gli effetti di una comunicazione a senso unico, tipica dei media tradizionali. Carta stampata e televisioni – meno la radio che conserva ancora degli spazi di interazione più forti e che comunque può essere fruita in modo più indiretto mentre si svolgono altre attività, come in auto o in aree pubbliche – risultano dei media troppo freddi e privi di capacità di coinvolgere, per cui i più giovani stanno progressivamente allontanandosene o comunque limitando sempre più l’ascendenza che questi canali hanno esplicato fino ad ora.

A detta di McKinsey, pertanto, quelle aziende orientate al business to consumer (B2C) che vogliono conquistare l’attenzione di chi ha meno di 30 anni devono assolutamente tentare la sperimentazione nei mondi virtuali. Opinione espressa in un report di 150 pagine in cui si definiscono alcuni modelli di business fruttuosi mediante i quali le aziende possono realizzare un ritorno dell’investimento dopo avere svolto azioni di marketing e comunicazione che fanno uso dei mondi virtuali – Second Life in testa.

In realtà le critiche che qualche mese fa sono state mosse contro Second Life – ossia che presenta delle barriere all’ingresso di tipo tecnologico, che sia piuttosto complesso da usare e che abbia arrecato pochi benefici a chi abbia utilizzato questo mondo virtuale per tentare delle azioni di marketing – appartengono a un momento di riflusso arginato alla prima ora.

I modelli di marketing che non funzionano sono oggi molto più chiari, mentre lo studio più avveduto delle dinamiche dei mondi virtuali ha condotto a definire dei modelli che sono in grado di garantire dei ritorni precisi e misurabili, di valore comparabile a tutti gli altri modelli – spesso più semplici e meno elastici – applicabili al Web.

Quello che è chiaro agli analisti è che si sta entrando nella seconda fase dello sviluppo di Second Life, che non è più solo intesa come una replica arricchita del Web, ma un universo molto più ampio e sfaccettato che un’azienda può sfruttare per ottenere una molteplicità di benefici. Tra questi la creazione di meeting virtuali, la realizzazione di corsi di formazione al personale molto più intensi e completi rispetto a quelli effettuabili tramite una piattaforma di formazione a distanza basata sul Web, l’esplicazione di azioni di marketing esperienziale e di community.

Per esempio un’azienda americana di autotrasporti sta utilizzando Second Life per insegnare ai conducenti come parcheggiare i camion correttamente in condizioni di traffico cittadino, mentre la catena alberghiera Hilton sta addestrando i receptionist a comportarsi correttamente con i clienti proprio impiegando delle riproduzioni virtuali di una sala d’ingresso. Altre aziende stanno usando il mondo virtuale come ambiente di simulazione per insegnare ai dipendenti ad affrontare le più svariate situazioni impreviste senza bisogno di ricorrere a lunghe e costose esercitazioni in situazioni reali.

Il grosso problema è che la maggior parte delle agenzie che finora hanno supportato le aziende a fare il migliore uso di vecchi e nuovi media si trovano del tutto impreparate ad affrontare la comunicazione nei mondi virtuali. Come osserva il consulente di McKinsey, «laddove i bisogni del Web bidimensionale erano ben soddisfatti dai designer grafici, il mondo 3D necessita di una concezione cinematografica. Si ha bisogno di sceneggiatori, di attori e di registi che sappiano coinvolgere i frequentatori della piattaforma in scenari e situazioni basate su stimoli attivi tipici dei film e dei videogame».

Proprio queste agenzie – che fino a pochi anni fa rappresentavano proprio la frontiera avanzata della comunicazione più rivoluzionaria e avanguardistica – stanno assumendo dei comportamenti conservativi e reazionari, finalizzati a rallentare l’ingresso dei nuovi media e a mantenere la propria posizione di dominio basato su competenze non facilmente aggiornabili e sicuramente non più sufficienti a fronteggiare le opportunità offerte dai nuovi strumenti mediatici.

Toccherà alle aziende iniziare a capire che, per sopravvivere in un universo di comunicazione in costante cambiamento, dovranno diffidare sempre di chi non si mostri aperto a tutte le nuove opportunità. O, come dicono in McKinsey, ignorarle sapendo però di farlo «a proprio rischio e pericolo».

Il futuro del business di Second Life e di Linden Lab: eletto il nuovo CEO, Mark Kingdon.

Il business legato a Second Life e alle attività dell’azienda che lo gestisce, Linden Lab, sta per prendere una nuova direzione. Il nuovo CEO, che sostituirà da maggio Philip Rosedale, è stato appena eletto e potrebbe davvero imprimere un corso differente allo sviluppo del mondo virtuale. Il compito di traghettare Second Life verso la sua seconda fase è stato attribuito a Mark Kingdon, che sembra avere tutte le carte in regola per vedere l’universo virtuale sotto una prospettiva del tutto innovativa.

Nel 2006 proprio Kingdon aveva scritto un pezzo su ClickZ in cui valutava positivamente la creazione di nuovi ambienti virtuali. A suo avviso sono tre le attività fondamentali che chiunque si occupi di business legati alle nuove tecnologie deve attualmente portare avanti.

  1. Prendere un ruolo attivo in tutto quello che sta nascendo, da MySpace a Facebook, da Second Life a tutto ciò che il Web 2.0 sta generando. Solo la partecipazione attiva, in sostanza, può permettere alle aziende di capire quali opportunità di business e di marketing si stanno preparando e come sfruttarle al meglio.
  2. Investire del denaro in aggiornamenti continui sulle nuove tecnologie e sui nuovi prodotti e servizi che vengono realizzati. Soltanto così è possibile identificare quelli che davvero contengono delle potenzialità di mercato. Alla base di tutto c’è l’apertura mentale, che è l’unica chiave del successo.
  3. Effettuare un continuo test delle nuove tecnologie in modo da valutare se possono avere successo e rappresentare delle occasioni per meglio affrontare il mercato. «Rendere il proprio ufficio un posto in cui le persone possono condividere ed esperire le tecnologie di cui si sente continuamente parlare» è una delle strategie che consentono alle imprese di tenersi sempre al passo con i tempi.

In sostanza il Kingdon pensiero è estremamente proattivo e orientato all’innovazione. Lui stesso prima di essere reclutato da Rosedale alla guida di Linden Lab è stato dal 2001 CEO di Organic, una delle prime agenzie Web capaci di cavalcare l’onda del periodo di boom iniziale di Internet nei primi anni Novanta. Negli anni ’90 è stato partner della PricewaterhouseCoopers, grande azienda operante nel settore dei servizi professionali di revisione dei conti. La sua competenza sui nuovi business legati a Internet l’ha portato poi a scrivere regolarmente su ClickZ, uno dei portali informativi americani più importanti tra quelli specializzati nel business e nel marketing legato a Internet e alla new economy.

La scelta di Kingdon dovrebbe portare Linden Lab verso una migliore gestione del prodotto Second Life e di un rinnovamento delle politiche aziendali finora messe in campo. La crescita esponenziale del mondo virtuale e lo sviluppo continuo di nuove tecnologie ha rapidamente trasformato la piattaforma e le tecnologie associate. In questo senso la competenza di Kingdon potrà aiutare Linden Lab a confrontarsi con le nuove sfide imposte da un prodotto – Second life – sempre più complesso da trattare e da valorizzare.

Marketing, business e aziende in Second Life: il ruolo degli utenti attivi o active user nella comunicazione d’impresa.

Il ridotto numero degli utenti attivi in Second Life è una delle perplessità più frequenti sollevate dagli investitori. In effetti, la cifra orientativa di 500.000 active users attuale – che va poi ulteriormente frammentata in gruppi di utenti appartenenti alle varie nazionalità (a marzo gli utenti attivi italiani rilevati da Linden Lab erano 23.577) – rappresenta un ambito di mercato decisamente ridotto se si sviluppano delle azioni di marketing finalizzate proprio a usare come obiettivo questo campione di utenza.

Il timore di effettuare un investimento poco produttivo è fondato, ma si riferisce solo a quelle forme di utilizzo della piattaforma che puntano a sfruttare direttamente il target dei residenti già presenti al suo interno, come per esempio l’SL-commerce. Realizzare un impianto di commercio elettronico (e-commerce) dentro Second Life è un modello di business che può risolversi in un cocente insuccesso, proprio perché i numeri dei frequentatori sono troppo bassi e non riuscirebbero – quasi sempre neanche in tempi medio-lunghi – a fare recuperare l’investimento.

D’altronde l’utilizzo di Second Life (per com’è adesso) al fine di effettuare vendite dirette di prodotti non destinati a un uso interno al mondo virtuale si scontra innanzi tutto con la complessità del sistema di gestione delle transazioni economiche, che deve comunque, quasi sempre, rinviare a un sito Web esterno anche per garantire una migliore sicurezza.

In realtà ridurre l’investimento aziendale in sistemi Internet solo pensando al commercio elettronico significa tagliare fuori la maggior parte delle opportunità che Internet stesso offre a un’azienda. Il fulcro di ogni attività aziendale che sfrutta Internet è infatti la comunicazione, a partire dal semplice scambio di informazioni fino ad arrivare, come estrema ratio, proprio al perfezionamento del processo di vendita.

Il difetto più evidente della limitazione di Second Life alla considerazione di un semplice numero rappresentativo dell’utenza in atto è nell’incapacità di valutare l’Internet attuale nella sua totalità, ossia come un insieme complesso di strumenti differenziati in grado di aumentare esponenzialmente l’effetto sulla comunicazione se usati in un mix vincente.

A differenza di quello che era negli anni ’90, oggi Internet è un amalgama continuo di soluzioni e ambienti di comunicazione differenti che dialogano e si interfacciano, ciascuno con caratteristiche particolari e tipiche. L’obiettivo di un buon piano di comunicazione che sfrutti Internet è quello di mettere insieme diverse soluzioni di comunicazione in un sistema complesso e fluido, con il quale avvicinare il pubblico e offrirgli la possibilità di diventare egli stesso protagonista nel rapporto con l’azienda.

Un esempio è quello di creare un sito aziendale che comprenda contemporaneamente un blog, uno spazio in cui gli utenti possono dialogare, uno spazio in cui l’azienda stessa fornisce le sue informazioni istituzionali e di prodotto, uno spazio in cui gli utenti possono manifestare i propri punti di vista e il proprio modo di essere, aggregarsi in base alle affinità di interesse, aprire relazioni. Lo scopo di una comunicazione aziendale contemporanea ben articolata è proprio quello di permettere agli utenti di esprimersi attraverso gli stimoli offerti dall’azienda stessa, con il suo brand e i suoi prodotti.

In questo senso si sta vivendo un momento in cui il prodotto stesso va proposto come stimolo per offrire ai consumatori una possibilità di scelta consapevole e attiva, e non più come un oggetto da propinare a un pubblico da imbonire e da mantenere in uno status di passività. In questo senso l’azienda vincente è quella che cerca un dialogo con il suo pubblico proprio creando sempre nuove occasioni di stimolazione e di riflessione. L’azienda vincente è quella che riesce a esprimersi con le idee dei propri utenti, facendo sì che siano questi stessi a far propri gli stimoli che l’azienda riesce a produrre.

In questo contesto, nessuno strumento è definitivamente da privilegiare. Soprattutto nessuno strumento vale in sé per una ragione numerica. Quello che conta è innescare dei processi di comunicazione, che possono rincorrersi da un ambito all’altro di Internet. Una notizia appresa in un blog frequentato da una sessantina di persone, se molto stimolante, può diffondersi a macchia d’olio in innumerevoli altri blog non controllati direttamente dall’azienda, su pagine personali di utenti inseriti in portali di social networking, in pagine di magazine ufficiali gestiti da editori professionisti, fino a diventare argomento di chat e di conversazioni fuori dall’universo internettiano. Insomma l’obiettivo è fare girare la prima ruota di un processo di comunicazione fornendo dei contenuti forti e coinvolgenti che i primi destinatari possano fare propri intellettualmente e, soprattutto, emozionalmente.

È in questo senso che Second Life può essere un’ottima prima ruota, indipendentemente dal numero reale di utenti attivi al suo interno. A condizione, ovviamente, che si sappia uscire dalla logica della presenza passiva che ormai non funziona più neanche sul Web. Realizzare infatti un luogo in Second Life in cui l’azienda presenta una galleria statica dei propri prodotti o servizi significa fraintendere totalmente la potenzialità dello strumento, che invece si presta perfettamente a creare situazioni di interazione tra gli utenti di carattere profondamente emozionale. In questo modo, un evento ben progettato che si rivolga anche soltanto a una cinquantina di partecipanti e viene poi riflesso, menzionato, commentato in spazi sul Web direttamente gestiti dall’azienda – in modo da diffondere al massimo i contenuti dell’evento stesso secondo una logica virale – può rappresentare un modo per portare a conoscenza aspetti dell’azienda che nessun’altra modalità (a parità di investimento) può ottenere.

Il problema, alla base di tutto, non è la quantità dei partecipanti. Ma la capacità di renderli attivi e coinvolti fino in fondo. Se questo accade, in breve tempo scaturisce una diffusione a macchia d’olio dei contenuti proposti che si basa sull’attività diretta delle persone. Un’attività che creerà un rapporto di lealtà stretta tra aziende, prodotti e consumatori, in una forma che i media tradizionali non potranno mai stabilire.